PRIMARIE USA: L’IOWA (MENO MALE) SMENTISCE I SONDAGGI

E così anche negli USA i sondaggi toppano: a dispetto delle previsioni, Donald Trump, l’uomo che si lava i capelli nel Crodino, non ha vinto il caucus nello Stato dello Iowa, e Hillary Clinton ha quasi perso contro Sanders.

Qualunque cosa sia esattamente un caucus, e dovunque esattamente si trovi lo Iowa, il piacere di veder perdere quell’arrogante tronfio trombone sarebbe stato maggiore se non fosse che a batterlo è stato il bigotto Ted Cruz (nomen omen: in spagnolo “cruz” vuol dire “croce”), che sicuramente è meno cialtrone di Trump ma non per questo è più rassicurante, visto che ha alle spalle tutta la destra delle più reazionarie chiese evangeliche d’America e che fra le sue prime promesse c’è la garanzia del rispetto del famigerato Secondo emendamento, quello che permette agli americani di comperarsi i bazooka anche al supermercato sotto casa.

C’è di buono, sempre in campo repubblicano, che ha sicuramente perso Jeb Bush, il terzo della famiglia che voleva diventare presidente degli Stati Uniti. Nello Iowa si devono essere detti che errare è umano, perseverare è diabolico ma ci può anche stare, però quando è troppo è troppo: due Bush presidenti bastano e avanzano. Per quanto, vista la natura dei due principali contendenti repubblicani, viene da chiedersi se in fondo il povero Jeb non sarebbe stato il più rassicurante della compagnia.

Per i democratici Hillary Clinton l’ha sfangata su Sanders ma col fiatone. Io faccio il tifo per loro: quale che sia, fra i due, a guadagnarsi alla fine la nomination, sarà sempre una piacevole novità. Già i democratici hanno regalato al mondo la sorpresa del primo presidente nero; se ora ce la farà Hillary, sarà bello veder correre per la presidenza, per la prima volta negli USA, una donna; se ce la farà Sanders la sorpresa sarà forse ancora maggiore, visto che si dichiara apertamente socialista in un Paese dove la parola “socialismo” è praticamente bestemmia.

In proiezione, si può immaginare che l’elettorato democratico finirà per scegliere Hillary, consapevole del rischio che il socialismo di Sanders favorisca l’oppositore repubblicano; nel campo opposto, c’è da sperare che fra i due litiganti campioni del conservatorismo più becero, gli attuali primo e secondo Cruz e Trump, finisca per godere il terzo incomodo Marco Rubio: conservatore pure lui, ovviamente, ma forse un tantino meno degli altri due, soprattutto è gradito alla potente minoranza ispanica e meno sgradito a quella nera: dover contare sulle minoranze è una mezza garanzia di maggiore apertura mentale.

Una cosa è sicura: negli USA i miliardi, per vincere, non bastano più e questo è rassicurante. Già l’avevamo visto con Obama, che fu eletto a furor di popolo al primo mandato e, pur essendosi non poco ridimensionato e avendo non poco deluso, è stato comunque riconfermato al secondo dall’America illuminata e aperta.

Resta da sperare che a novembre quell’America – quella che non ama le armi, che non vuole l’isolazionismo e il muscolarismo in politica estera e che non va a cercare nella Bibbia la soluzione ai problemi suoi e del mondo – non decida di averne abbastanza di votare lasciando così campo libero ai repubblicani: men che meno se il candidato repubblicano, alla fine, dovesse essere Trump.

È una questione che ci riguarda tutti perché, ci piaccia o no, il presidente degli Stati Uniti ha in mano il destino non solo dell’Iowa e degli altri 49 Stati dell’Unione, ma di tutti i popoli del mondo.

E non so voi, ma a me l’idea che il mio destino finisca nelle mani di un uomo dai capelli arancione, sotto i quali covano poche e perentorie idee tutte rigorosamente sbagliate, non mi sorride nemmeno un po’.

Giuseppe Riccardo Festa

 

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