Menomale che la Corte Costituzionale c’è

I leghisti, Salvini e Maroni in testa, fino a ieri invocavano la Costituzione, nel cui nome esigevano la bocciatura del DDL Cirinnà sulle unioni civili, ma oggi inveiscono contro la Corte costituzionale, che ha dichiarato illegittima la legge regionale lombarda che di fatto impediva la costruzione di moschee nel territorio padano sottomesso alla loro dominazione. Poco importa, ai leghisti, che l’incostituzionalità di una legge del genere fosse evidente anche per il più distratto dei lettori della Carta: non si può discriminare fra i cittadini in base alla loro religione, lo dice l’Articolo 3; ma ciò non impedisce ai leghisti di accusare la Corte di filoislamismo.

È un po’ un vizio, questo, di invocare la Costituzione o ignorarla completamente a seconda della convenienza: è diffuso fra tutti gli schieramenti politici, in misura più o meno elevata e con un’uguale misura di sfacciataggine.

Un altro esempio lo si può trovare, a proposito delle unioni civili, nel comportamento del Movimento 5 Stelle che dopo aver ripetuto fino allo sfinimento che avrebbe votato la legge, a condizione che non fosse modificata, ha poi motivato con la difesa della Costituzione il suo voltafaccia sul voto, invocando non meglio identificati elementi di incostituzionalità nel cosiddetto “emendamento canguro”, che avrebbe consentito di superare l’ostruzionismo leghista e di far passare il DDL senza modifiche.

Lo stesso Movimento non nasconde tuttavia la sua avversione per l’articolo 67 della stessa Costituzione, secondo il quale la libertà del parlamentare non può essere sottoposta ad alcun vincolo di mandato. L’avversione dei pentastellati per la libertà degli eletti – parlamentari ma non solo – è a tal punto radicata che ai candidati alle imminenti elezioni comunali di Roma è stato imposto di sottoscrivere l’impegno a dimettersi, o pagare la bella cifra di 150.000 euro a titolo di multa, qualora, in caso di elezione, essi esprimano pensieri e opinioni non conformi alla linea del Movimento.

Strano concetto della libertà, per un movimento che fa dell’uguaglianza di tutti i suoi iscritti un principio cardine della sua stessa esistenza; ma in fondo se i candidati decidono di sottoscrivere quell’impegno la scelta appartiene solo a loro, e non mi permetto di giudicarla; mi limito a trovarla un tantino simile a un morso, con tanto di briglie e pure parecchio tirate.

Sempre a proposito di elezioni e di costituzionalità, un tribunale di Messina ha deciso di accogliere un ricorso contro il cosiddetto “Italicum”, la legge elettorale fortemente voluta da Matteo Renzi, ed ha rinviato alla Corte Costituzionale la decisione su sei punti molto contestati della legge in questione. Si tratta di norme che effettivamente hanno fatto storcere molti nasi inclusi il mio, che però conta poco, e quello di eminenti costituzionalisti, che conta parecchio di più.

La riforma in questione, sovrapposta a quella del Senato, di fatto trasformerebbe l’Italia, da Repubblica parlamentare, a repubblica semi presidenziale, col capo del Governo virtualmente padrone di fare e disfare a proprio piacimento ciò che meglio gli aggrada, disegnando un quadro che richiama alla mente un fosco e pericoloso passato.

Ho molta fiducia nella Corte Costituzionale, e diversamente dai leghisti non griderò al complotto quando essa emetterà il suo giudizio su quegli aspetti dell’Italicum, quale che esso sia.

Non nascondo, tuttavia, di aspettarmi una sentenza che imporrà al Parlamento di ritornare su quella legge, per restituire ai cittadini quella sovranità e quella libertà che la Costituzione garantisce loro e che invece i loro rappresentanti – che siano capi di governo o padroni di partiti – fanno di tutto per limitare e imbavagliare.

Giuseppe Riccardo Festa

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