LA SEMIFINALE E’  KIEV, MA  LA FINALISSIMA A TAIPEI

– La guerra, anche se Putin e la Russia la chiamano operazione speciale, cambia tutto.

Succede sempre. Un conflitto muta da subito la psiche, l’economia, le abitudini giornaliere, la vita quotidiana, il pensiero e la politica stessa. Prova ne è il fatto che le opinioni su Putin e un euroscetticismo diffuso hanno subito un’ inversione in pochi giorni. Nel caso dell’ invasione scatenata il 24 febbraio dalla Russia verso l’ Ucraina ci troviamo di fronte  ad un’ ennesima guerra per procura tra Stati Uniti e Russia. L”agnello sacrificale” è l’ Ucraina. Del resto il nome stesso, in antico slavo, è votato al sacrificio: terra di frontiera. Vittima,  essendo indipendente solamente da 30 anni, di invasioni, spartizioni, trattati.

Due lucchetti, due contenimenti – Nel mondo esistono 2 lucchetti: Cuba e Taiwan e infatti le chiavi sono in mano alla unica potenza egemone. Sono gli Stati Uniti ad avere le “password” per accedere o meno alle 2 isole. Cuba la controllano militarmente dal lontano 1898, al di là della rivoluzione castrista del ’59, prova ne è la base militare di Guantanamo, tristemente nota per l’assurda “guerra al terrorismo”. Uno slogan insensato e propagandistico, visto che quest’ultimo, essendo una tattica paramilitare e non una nazione, non puo’ essere oggetto di un attacco. E’ l’evidente frutto di una narrazione, l’ennesima. Taiwan la controllano nei fatti anche se, per un’ ironia egemonica, si permettono di non riconoscere questa “Cina diversa” e farlo con la Repubblica popolare. Lussi egemonici. Perché Cuba e Taiwan sono così importanti, in un contesto apparentemente lontano come il conflitto ucraino ? Perché sono come 2 cancelli dei quali è fondamentale, considerata la rispettiva posizione geografica, possedere le chiavi. Se Cuba non fosse controllata dagli Stati Uniti, bensì da un rivale strategico, si ritroverebbero chiusi dentro al Golfo del Messico, nel mare casalingo, esattamente come attualmente succede con la Cina, che si vede costretta a non poter mettere il naso fuori dal mar cinese meridionale. Già, non lo controlla proprio a causa di una spina nel fianco: Taiwan. Isola mai riconosciuta dall’ egemone a stelle e strisce, ma controllata in ogni suo aspetto. Quello geografico, certamente, senza sottovalutare quello tecnologico e geopolitico, essendo Taipei il primo produttore al mondo di semiconduttori grazie al colosso Tsmc. Sì, anche la guerra dei microchip è geopolitica. Riconoscere dunque l’importanza dei 2 ” lucchetti geopolitici” è fondamentale per capire cosa significa l’ ultima “partita” russa e statunitense in terra ucraina: una semifinale in vista della finalissima taiwanese. A tutto questo si aggiungono due contenimenti: quello su Cuba, il cui regime, nonostante si definisca ancora socialista, ormai non è del tutto inviso a Washington che non sapendo come sostituirlo preferisce strangolarlo pian piano grazie a un embargo vergognoso e usarlo elettoralmente per soddisfare uno stato importante come la Florida. Idem con la Russia di oggi e l’ Unione Sovietica di ieri: entrambe contenute senza neanche sapere dove si va a parare. Anche da tale inconsapevolezza USA nascono disastri difficili da prevedere e fermare una volta iniziati.

Gli imperi grondano sempre sangue – La questione del bene e del male, dei buoni e dei cattivi, come quella del tifo ideologico per narrazioni, ideologia o politologia sono da ignorare nell’ analisi. Anzi non sono secondarie, ma addirittura inesistenti. Quando si tratta di imperi, potenze rivali e sfere di influenza non esistono buoni e cattivi, solo interessi strategici. Nel caso specifico pare ovvio che i russi abbiano sbagliato guerra, fin da subito, pensando che la sola narrazione potesse bastare a convincere tutti gli ucraini a cambiare sponda dopo i fatti della cosiddetta “Euromaidan”. Oggi come non mai appare anche evidente chi sia l’aggressore (la Russia) e chi l’aggredito (l’ Ucraina). Al contempo sarebbe ingenuo o forse peggio negare come non sia stato saggio da parte della Nato allargarsi a est, approfittando della debolezza russa negli anni ’90 e per giunta senza pensare che, prima o poi, un gigante geopolitico torna sempre sulla scena, facendo ripartire il drammatico ticchettio dell’ orologio della storia. Il fatto è addirittura “plastico”, se così si puo’  dire, nel senso che basta leggere i risultati elettorali per evincere come il candidato filo russo (Janukovyč ) abbia preso circa l’80% dei consensi nei territori dell’ Ucraina orientale, quello filo occidentale l’ identica percentuale nella cosiddetta “Ucraina profonda”, che va da Kiev a Leopoli, in Galizia. Una spaccatura netta, che ha convinto il Cremlino a farsi mesi di negoziato. Per giungere al 17 dicembre scorso, quando Lavrov stilò alcune richieste da sottoporre all’ egemone. L’ Unione Europea e i vari satelliti sono stati ignorati, come ha ben evidenziato il trattamento umiliante che Putin ha riservato ai vari emissari, Macron e Scholtz, che tentavano di scongiurare l’invasione. Gli imperi parlano alla pari e tra loro, non c’è spazio per le province. Tra gennaio e febbraio di quest’anno è stato ampiamente dimostrato.

Stelle, strisce e schizofrenia – Ma per quale motivo solo adesso e quali sono le ragioni principali per le quali lo “Zar” del Cremlino ha scelto l’ inizio del 2022 per muoversi ? In fondo sono 8 anni che la situazione tra la Russia e l’ Ucraina, causa i contestati territori del Donbass, è critica, per usare un eufemismo. Un conflitto sottotraccia esiste fin dal 2014. E allora perché Putin si è svegliato ora ? Probabilmente esiste una ragione secondaria: la Covid – 19 e il virus hanno sconvolto il pianeta e quindi l’egemone e i suoi satelliti europei hanno vissuto momenti di grave difficoltà,  il momento più adatto per rivendicazioni tanto annose e vistose. Tuttavia, la Covid pare argomento secondario, il vero motivo è un altro: l’ insostenibile pesantezza degli apparati Usa. Stiamo parlando di una fatica imperiale ormai insita nel DNA stesso dell’ egemone globale, che si trova diviso tra 2 nemici che non vuol ancora dismettere: Russia e Cina. Esiste però anche un nemico più infido: loro stessi. Meglio, i decisivi stati del Mid West. Sì, quei  “grandi laghi” che vorrebbero avere indietro la Detroit del tempo che fu. Il paese industrializzato e promotore del leggendario “American Dream”, con le 2 auto in garage e il futuro perennemente in rosa. E’ un malessere che produce schizofrenia mista a frustrazione nella potenza Usa ma che, evidentemente, Putin ha letto come lo spiraglio per ottenere almeno il minimo sindacale: un’ Ucraina neutrale e possibilmente federata, con i territori orientali dentro la sua sfera di influenza e la Crimea riconosciuta dal mondo come Russia. Risultati che alla lunga forse otterrà, ma che probabilmente avrebbe avuto comunque, anche senza un’ invasione piuttosto rovinosa per tutti. Nessun impero, per quanto straordinariamente potente come è oggi quello statunitense, puo’ tenersi 2 nemici per sempre nel “gioco del dominio”. Lo sanno bene al Cremlino come a Washington. Per questo Putin, con quello che probabilmente sarà ricordato nei libri di storia come il suo ultimo azzardo, ha fatto una mossa disperata sullo scacchiere globale. Insomma, è un “prendiamoci il possibile adesso”, quando l’egemone è distratto da 3 nemici: noi, la Cina e perfino se stesso. “E’ il momento migliore”. Se non ora quando, deve aver pensato un leader ormai 70enne e da oltre 22 anni al potere. L’obiettivo ? Non passare alla storia per il russo che ha perso l’Ucraina.

Il semaforo di Putin e il gioco dell’oca geopolitico– Gli Usa soffrono questa sorta di schizofrenia, invero alquanto comune in ogni impero quando passa dalla fase imperialistica a quella imperiale. Da impulsiva potenza adolescenziale a maturo e riflessivo impero, invero capace di mantenere la lucidità necessaria per la leadership mondiale. Da qui l’alternanza di luci verdi e rosse che dalla Casa Bianca è partita per “illuminare” il Cremlino sul da farsi. Se da Mosca chiedono per mesi riconoscimenti e garanzie sui territori orientali, cancellando incredibilmente l’effetto sorpresa per un attacco, fondamentale nella cosiddetta “arte militare”, da Washington si risponde nisba. Della serie: “Forse otterrai ciò che vuoi, ma non così in fretta, prima ti devi dissanguare un po’ “. E’ giocare a carte scoperte: Biden che ripete all’ infinito come nessuno muoverà un dito per difendere l’ Ucraina, lo grida forte ai quattro venti, dando così una luce verde al Cremlino, annunciando l’ invasione russa e al contempo di non voler usare un solo uomo per difenderla. La luce rossa si ha invece in Polonia, quando lo stesso presidente Usa avvisa, fingendo una gaffe, non soltanto che i russi non devono toccare i confini NATO, visto che lui ha eccome il potere di far scattare l’articolo 5, a differenza dei satelliti europei, ma suggerendo agli apparati e alle èlites russe un cambio di regime, che dopo il 2024 probabilmente vedrà un altro “Putin” al potere. Non certo una liberaldemocrazia che, per tante ragioni, in Russia non è alle viste. Il risultato finale sarà quindi una sorta di “gioco dell’oca” e si tornerà a ciò che la Russia chiedeva il 17 dicembre: neutralità di un’ Ucraina federata, fuori dalla Nato (ci sarebbe stato il veto del piccolo Montenegro), con i territori del Donbass conquistati che mai torneranno indietro. Tanto da chiedersi in futuro a cosa diamine sia servita la strage.

La “GasPolitik” e il post storicismo tedesco – Veniamo adesso al più grande incubo degli Stati Uniti, da sempre: l’alleanza tra Germania e Russia. E’ una paura ancestrale per gli Usa. Nasce prima del comunismo, ha coinvolto gli Stati Uniti in 3 guerre: la Grande Guerra,  il 2° conflitto mondiale e infine una guerra definita “fredda”, poiché condita da scontri per procura tra le 2 superpotenze, assai simili al conflitto in corso sulla pelle degli ucraini. Le elezioni dello scorso 26 settembre, come avevamo ampiamente previsto sulle nostre pagine, sono state determinanti in tal senso, in quanto hanno chiarito agli occhi statunitensi come i tedeschi siano ormai decisamente schierati con l’ Occidente senza più ambiguità e avvolti in quel tepore post storico  che, per il momento, tale alleanza garantisce. Di conseguenza, in cambio di cotanto benessere, si puo’ chiedere ai propri satelliti, magari offrendo loro lo zuccherino del titolo fasullo di alleati, di armarsi, seppure per decenni, soprattutto nei casi di Germania Ovest e Giappone, si è ordinato l’esatto contrario: un pacifismo imposto nelle rispettive costituzioni. Da qui una decisione, se mantenuta nei prossimi mesi, che avrà del clamoroso: una Germania 4° potenza mondiale con 102 miliardi in investimenti per gli armamenti. Sarebbe qualcosa di impensabile nell’ ottica statunitense, ovviamente se tutto non fosse  stabilito e controllato dagli Stati Uniti. Invece tanto proposito, gemmato dal comodo quanto richiestissimo post storicismo, viene addirittura sponsorizzato dallo stesso egemone. Significa che  tutta l’Europa occidentale, in primis la Germania, sarà schierata nella “partita finale”, quella contro la Cina per Taiwan. Col permesso di continuare ad alimentare le rispettive economie post storiche grazie al gas russo. Economie e riarmi tesi non certo a difesa di una Federazione russa che, una volta aver “pareggiato” la partita con l’ Ucraina e pensionato Putin, tornerà utile partner contro la Cina in vista della finalissima geopolitica per il dominio del mondo. Fine del contenimento russo per sempre e dell’ appalto ad ambigue “democrazie” baltiche come la Polonia. E’ la decisione finale degli apparati: da 2 nemici strategici a 1, come logico che sia. Rimarrano un’ aquila e un dragone per il dominio del mondo. L’ orso russo se ne va. Nel “gioco dell’oca” geopolitico.

Perché Taiwan è decisiva e l’ Ucraina no – La ragione è semplice, quasi banale da comprendere, fuor da narrazioni o pelosi “convincimenti” ideologici: se gli Stati Uniti cedono qualcosa sull’ Ucraina non fanno che assecondare, tra l’altro nemmeno del tutto e per giunta strepitando, quelle che riconoscono essere le mire di un altro impero nella sua sfera di influenza, invece cedere su Taiwan significherebbe abdicare al ruolo di egemone globale, al dominio in mare, a favore della potenza rivale. Un’ ipotesi che è ancora lontana nel tempo, ma  gli imperi in gioco si stanno preparando all’ inizio di una nuova era, dove si deciderà il predominio globale tra Stati Uniti e Cina.

MARCO TOCCAFONDI BARNI

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