Ho incontrato Federico Pizzarotti

Ero sospettoso: Federico Pizzarotti ha pur sempre iniziato la sua carriera politica con Grillo, ed è stato il primo sindaco grillino di un importante capoluogo di provincia. Però, mi sono detto, è anche vero che nel giro di pochi mesi è entrato in rotta di collisione col Movimento 5 Stelle, con Grillo, Casaleggio, “lo staff di Beppe Grillo” e tutte le misteriose entità che si celano dietro quest’ultima sigla. E poi c’è un altro dato oggettivo: alla fine del suo primo mandato si è ripresentato senza avere alle spalle una struttura partitica, forte solo del lavoro che aveva svolto, e i suoi concittadini lo hanno confermato, e con convinzione: cosa che non è successa a nessuno dei sindaci grillini in scadenza, a dispetto dell’appoggio del loro partito.

Nessuno dei soliti partiti attira le mie simpatie: a parte i casi patologici rappresentati da CasaPound, Forza Nuova e FDI, che non meritano neanche di essere presi in considerazione, l’offerta politica è a dir poco desolante, dalla galassia dei partiti di sinistra velleitarii e troppo teorici e schizzinosi all’estrema destra di Salvini, così greve, aggressiva, volgare e arrogante, al M5S dalla disarmante incompetenza, la sfacciata incoerenza e il preoccupante velleitarismo.

Anche il PD? Si chiederà qualcuno. Anche il PD, sissignori. Fra renziani nostalgici e antirenziani ingrugnati (quelli che hanno fatto vincere Zingaretti), in quel partito dominano  i personalismi e i carrierismi: pur di sbarazzarsi di concorrenti interni, non esitano a pugnalare alle spalle dei loro eccellenti rappresentanti (è successo al sindaco di Macerata), e questi comportamenti sono intollerabili, in un partito che parla di correttezza, di princìpi e di onestà. E io sono uno che alla correttezza, ai princìpi e all’onestà, concreti e non a chiacchiere, ci tiene.

Ma incombono le elezioni europee e quello di votare lo considero comunque un dovere, civico e morale; e con tutti i difetti che di sicuro ha e che sicuramente bisogna correggere, l’Europa resta secondo me un progetto da completare, non da smantellare nel nome di antiquati e pericolosi revanscismi nazionalistici.

Così, visto che è venuto dalle mie parti per lanciare la campagna elettorale insieme a Stefania Monteverde, attuale vicesindaco di Macerata e candidata per il Centro Italia, sono andato a sentire cosa Pizzarotti ha da proporre col partito che ha fondato, “L’Italia in Comune”.

E ne ho tratto un’impressione decisamente positiva.

È una persona semplice, schietta e cordiale. Parla a braccio, ma con proprietà e chiarezza. Non c’è in quel che dice ombra di aggressività, e men che meno di volgarità: riferendosi agli altri, anche ai suoi ex compagni di partito, parla di avversari, non di nemici. Non promette la luna nel pozzo ma fa ragionamenti estremamente concreti: L’ossatura de “L’Italia in Comune”, il partito che ha fondato, si basa sull’adesione di amministratori ed ex amministratori locali (sindaci, vice sindaci, assessori e consiglieri comunali), persone che conoscono i veri problemi della gente ed hanno dovuto cercare soluzioni concrete e realizzabili per far fronte a quei problemi.

Crede nell’Europa dei cittadini, non degli Stati; nella necessità di superare gli egoismi nazionalistici, di promuovere una politica estera e una Difesa comuni, di far nascere un vero Governo europeo e di dare al Parlamento di Strasburgo un potere reale e vincolante; di promuovere una crescita uguale e una comune cultura fra tutti i cittadini di questa nostra vecchia, cara Europa. Ha messo in risalto il fatto che i nostri figli sono europei, viaggiano, si confrontano con i loro coetanei in Europa: che sono la generazione Erasmus, che a Salvini, Di Maio, Le Pen, Orban e gli altri come loro piaccia o no.

Gli ho fatto una domanda, dopo averlo sentito parlare e aver condiviso la sua condanna della politica che parla alla pancia e non al cuore e alla mente, che prende a calci la cultura e che si nutre di luoghi comuni, di frasi fatte e di pregiudizi.

Gli ho chiesto: «Uno dei luoghi comuni più diffusi è che “i politici sono tutti uguali”. Quando chiedono il voto promettono tutto, si dice, ma quando poi sono eletti pensano solo agli affari loro e se ne infischiano dei loro elettori; e spesso sono sfacciatamente disonesti: tutti. Come si può sfatare questo luogo comune? Come si può riportare alle urne quella metà dell’elettorato che oramai prova disgusto e indifferenza verso la politica?»

In realtà, per quanto riguarda lui, aveva già risposto prima, durante il suo discorso: ha una sua attività e non fa politica per mestiere. Comunque, con estrema sincerità, mi ha detto che una risposta, per l’immediato, non si può darla: anche se è vero che troppi fanno politica per sete di potere, bisogna dimostrare che al contrario la si può fare per spirito di servizio, perché si crede in un progetto e si desidera davvero il bene dei cittadini.

Lo dicono tutti, naturalmente. Ma Pizzarotti mi ha dato la sensazione di crederci. Sicuramente, “L’Italia in Comune” non raccoglierà percentuali altissime di voti, anche perché è la prima volta che si confronta con le urne. Anche se è alleata con “+Europa” di Emma Bonino, potrebbe addirittura mancare il fatidico 4% necessario per mandare qualcuno a Strasburgo.

Ma chi, deciso a votare, non accetta l’idea di doversi, per l’ennesima volta, turare il naso e votare il meno peggio; e chi prova disgusto per l’idea di correre in soccorso del (vero o presunto) vincitore; e chi a una brutta vittoria preferisce, se sconfitta ha da essere, una sconfitta a testa alta, un pensierino, su “L’Italia in Comune”, ce lo può fare.

Giuseppe Riccardo Festa

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