GLI OUTCOMES DELLA NOSTRA SANITA’ di Nicola Cosentino

Sta emergendo negli ultimi anni, nella letteratura internazionale, un nuovo modo di valutare la sanità: è quello di considerare i risultati in termini di salute degli utenti. Misurare gli “outcomes”, come dicono gli inglesi. Di un servizio, di un reparto ospedaliero, di un’unità operativa, non interessa più sapere quante prestazioni eroga, quanti ricoveri, quanti interventi. Interessa molto di più, invece, conoscere se e quanti malati fa guarire, se questi vivono di più o di meno, se migliora o no la loro qualità di vita, se e dopo quanto tempo devono di nuovo ricorrere alle stesse cure mediche. Come si fa misurare queste cose? Si va a vedere lo stato di salute delle persone, dopo un certo periodo dalla prestazione sanitaria ricevuta, mettiamo dopo una settimana, un mese, tre mesi, sei mesi, un anno, ecc.. . Cosa troveremmo se applicassimo questo metodo alle strutture sanitarie del nostro territorio? Sarebbe utile valutarle tutte ma, dopo la riorganizzazione regionale degli ultimi anni, si potrebbe cominciare, per esempio, ad analizzare il destino delle decine, centinaia di malati che recandosi nei locali Pronto Soccorso, dopo le prime cure, non trovano un posto letto per proseguire accertamenti e terapie e sono costretti a tornare al proprio domicilio (qualcuno, esausto, dopo ore e spesso giorni di attesa, firmando la dimissione “sotto la propria responsabilità”). Chi sa dire cosa accade a questi pazienti? Quanti, sorretti da “indomiti familiari”, affrontano viaggi, talvolta a rischio, sicuramente disagevoli, per trovare altrove, in altre regioni (o addirittura all’estero) l’assistenza che “la loro terra” nega? Quanti si rivolgono alla sanità privata? E con quali risultati e quali costi? E qual è il numero di coloro i quali, non potendosi permettere altro, tornano a casa, aspettando gli eventi! Tutti superano la malattia? O qualcuno non ce la fa? E finora quanti? Qualche notizia si legge sulle cronache locali. Ma dei più non si sa niente. Perché spesso si tratta dei più poveri, che la vita ha privato di tante cose, ma soprattutto non ha dato loro la “voce”. Un’analisi di tal genere – che, come detto, avrebbe fondamento scientifico – sarebbe assai importante per capire quali difficoltà deve affrontare oggi chi non trova risposta ai suoi bisogni di salute. Un grande bagno di “umanità”. Entrare nel vissuto del malato, capire le sue attese, speranze, delusioni. Cos’altro potrebbe essere, se non questa, l’umanizzazione della medicina? E, partendo dai dati raccolti, adoperarsi, da subito, per approntare ed organizzare quanto serve. La più grande ingiustizia che ha subito il nostro territorio è stata quella della chiusura degli ospedali senza che siano stati preventivamente predisposti servizi alternativi. Anche in altre regioni del nord si sono avuti tagli. Ma, in quei contesti, i pazienti hanno già tante altre opportunità di cura e senza neppure grandi spostamenti. Qui, invece, in cambio dei tagli ci è stato offerto il nuovo ospedale della sibaritide. Che però ha un grande ed evidente difetto: non c’è e, sicuramente, non ci sarà per molto altro tempo ancora! Mentre i malati devono essere curati oggi! Per questo si è già scritto e si ribadisce che è legittimo e giusto occuparsi della realizzazione del nuovo nosocomio. Ma è assolutamente necessario porsi i problemi dei presidi attualmente operanti. Forse tale consapevolezza comincia a farsi strada. Ma è anche necessaria un’ulteriore precisazione. La realtà della medicina odierna è tale che è inimmaginabile affrontare le questioni della funzionalità ospedaliera senza porsi il problema di tutto ciò che sta attorno. Non si può, infatti, sottovalutare il fatto che ampie fasce di popolazione, in questa parte della Calabria, non hanno più una pronta e completa assistenza sanitaria. E ciò non può che ripercuotersi sulle stesse strutture residue. Gli aspetti sono così interconnessi che sarebbe destinato a sicuro fallimento ogni intervento parziale e qualsiasi iniziativa che non arrivasse a comprendere le problematiche dell’intera sibaritide. Di fronte alle difficoltà è sempre utile non arrendersi. Anche se è triste e fa un po’ rabbia pensare che molto si poteva evitare! E che sono i più deboli ed i meno protetti a pagare il malgoverno politico e gli errori dirigenziali. Nonostante tutto non bisogna rassegnarsi, anzi, è giusto pensare che proprio dai momenti di crisi possono sorgere prospettive e modelli organizzativi migliori dei precedenti. Joseph Schumpeter, un economista austriaco del secolo scorso, la chiamava “distruzione creatrice”. Finora i calabresi hanno mostrato di essere imbattibili riguardo alla prima di queste parole. Occorre finalmente cimentarsi nella costruzione del nuovo. Con urgenza, però, perché ogni minuto che passa è segnato, ed è dimostrabile, da indicibili sofferenze umane. Nicola Cosentino

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