GARGANO NEGLI OCCHI. Una perla del nostro Sud raccontata da Lucia Tancredi

Chi fa ritorno riconosce l’amoroso ricalco delle creste, dal picco bitorzoluto di Castelpagano al Monte della Donna, che apre la via con un fianco più morbido di velluto. È qui che dovrebbe partire il viaggiatore, deviato dal cartello turistico Gargano al casello Poggio Imperiale, percorrendo la piana con la smania di chi veleggia per le isole che sono tutte, di mare o di terra, ombelico e ricapitolazione del mondo, luoghi rotondi dove si vive una svagata libertà dentro una legge non scritta. Tutto il mondo è oltre.

Avete tra le mani Gargano negli occhi, la nuova fatica di Lucia Tancredi pubblicata da ev Casa Editrice.

Il libro già vi cattura con la bella copertina di Domenico Valori, ammiccante di richiami e di allusioni. Fermatevi dunque: sedetevi, mettetevi comodi e mettete il resto del mondo da una parte. Un libro di Lucia Tancredi è un evento, non si legge con mente distratta, così come un calice di un grande vino rosso, denso di effluvi, di aromi e di riflessi, non è una qualunque coca-cola: non si tracanna d’un fiato ma si ammira in trasparenza, si rotea per farlo piangere nel cristallo, si aspira e infine si assapora, centellinandone il gusto per carpirgli il goloso e variegato arcobaleno di sapori che sprigiona.

Lucia Tancredi ha davvero il Gargano negli occhi, e attraverso gli occhi nel cuore, perché per lei raccontarlo è davvero un fare ritorno. Ma forse dovremmo dire che negli occhi e nel cuore Lucia Tancredi ha i Gargani: quello dei ricordi della prima infanzia, quando dovette partirne per seguire le peregrinazioni del padre, alto dirigente della Polizia, e perpetuato dalla voce, dai racconti e dall’imponente, nera e pur rassicurante figura della tata che, amorosa ambasciatrice del paese natio, si curava di lei; il Gargano della cultura, dei miti e delle leggende, ricco, misterioso e affascinante; e il Gargano di oggi, nel quale il passato vive e si perpetua a dispetto di un modernismo, non sempre armonico, come a San Giovanni Rotondo, che comunque non riesce a scalfirne le antiche radici.

Lucia Tancredi si fa guida dei luoghi garganici, luoghi della storia, della memoria e della vita – a partire da San Marco in Lamis, che le ha dato i natali, e poi altri diciotto fra i quali San Giovanni Rotondo, Monte Sant’Angelo, Lesina, Vieste, la Foresta Umbra – mescolando storia, memoria e attualità in una narrazione viva e immaginosa, sempre amorevole, non di rado affettuosamente ironica, con lo sguardo e la cura carezzevole di chi di quei luoghi, e di chi li vive, conosce l’anima più profonda e vuole raccontarla ai suoi lettori.

I luoghi modellano lo spirito degli uomini, che a loro volta ne modellano i profili. Dunque, per Lucia Tancredi luoghi e uomini – non importa se leggendari o storici, di ieri o di oggi – sono un tutt’uno; il racconto pennella perciò con gli stessi morbidi tratti lu Trone, l’antica sede cinquecentesca dell’abate di San Marco, e il volto preistorico e storico dell’editore  Antonio Motta; l’arcangelo Michele, immagine sincretica degli psicopompi di tutte le tradizioni mediterranee, e il mitologico pastore Gargano in furibonda ricerca del suo toro fuggiasco; e ancora il mistero della Foresta Umbra, Umbra perché è una mappa antica antichissima di terra in cui gli alberi, come anime immense capaci di succhiare terra e cielo, si sono slanciate fino all’altissima visione della luce con volute, ventagli di foglie a cuore, scudo, lobate, sfrangiate, facendo un tessuto talmente tramato che nel sottoprofondo è rimasto un buio subacqueo: grotte di felci, covate felpate di muschio, bracciate di erbe.

È il libro stesso, come è tipico dello stile di Lucia Tancredi, a dettare i tempi e i modi della sua lettura. Una lettura che, mi permetto di suggerirlo, non andrebbe fatta a mente ma a voce alta, o almeno a fior di labbra, perché le immagini, le similitudini, le aggettivazioni, i richiami e i voli della fantasia dell’Autrice vanno gustati anche nei loro suoni, e i suoi sorrisi bisogna tornare a sorriderli leggendo.

Se si escludono le belle immagini dei risguardi, questi racconti di viaggio, come il magnifico romanzo che l’Autrice ha dedicato al pittore Lorenzo Lotto (così destando un certo stupore in Vittorio Sgarbi) sono affatto privi di illustrazioni.

Non ce n’è bisogno: sono le sapide, intense e vivide descrizioni che, filtrate attraverso la sua squisita sensibilità d’artista, fioriscono dalla penna di Lucia Tancredi, a creare nella mente del lettore, meglio di quanto farebbe una qualunque illustrazione, quei luoghi che in fondo, come tutti i luoghi intessuti di storia e di vita, e di miti, e leggende, di cui il nostro Sud è così generoso, prima che luoghi fisici sono luoghi dell’anima.

Giuseppe Riccardo Festa

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