FUORI DALL’EUROPA… E ANCHE DAGLI EUROPEI

La lettura del Times, del Telegraph, dell’Independent e del Guardian di questa mattina mette in evidenza lo stato di shock in cui versa l’opinione pubblica inglese dopo l’esito del referendum sulla Brexit cui si sovrappone, da ieri sera, il ridicolo di cui si è coperta la Nazionale di calcio britannica con la sconfitta per mano, o meglio, per i piedi, dei calciatori islandesi.

Per quanto riguarda il referendum, i giornali britannici mettono in evidenza dubbi, recriminazioni e pentimenti da parte un po’ di tutti, salvo ovviamente Farage: la ribellione nel Labour Party, infuriato col segretario Corbyn che è stato troppo tiepido durante la campagna elettorale in difesa del Remain; la fronda che lacera i Tories, molti dei quali vedono come il fumo negli occhi il subentro di Boris Johnson a Cameron e non nascondono come la sua scelta di schierarsi per il Leave sia stata strumentale alla sua voglia di prendere il posto di Cameron a Downing Street. Lo stesso Johnson, con encomiabile faccia tosta, stamattina sul Daily Telegraph dichiara: “Non posso sottolineare a sufficienza che la Gran Bretagna è parte dell’Europa, e sempre lo sarà”; e l’Independent elenca le bugie, in materia di economia, di immigrazione e di rapporti con l’UE, che Johnson sta mettendo in fila in queste ore. Cameron, d’altra parte, vorrebbe uscire, sì, dall’Unione, ma restare nel Mercato comune; distinguo vengono anche da altri esponenti politici: Jeremy Hunt, ministro della sanità, scrive al Telegraph che se l’Europa concedesse alla Gran Bretagna regole particolari sull’immigrazione, il referendum si potrebbe rifare (ne parla anche La Repubblica).

I giornali si soffermano anche sul downgrading del rischio sovrano britannico da parte di Standard & Poors (di ben due gradini, da AAA a AA); sulla svalutazione della sterlina, sui mercati in ribasso, sulla fosca previsione di una recessione che l’anno prossimo colpirà il Paese; e non da ultimo, sulla lacerazione tra le generazioni provocata dal voto. Interessantissimo, a quest’ultimo proposito, un lungo articolo del Guardian, che descrive la rabbia di molti figli favorevoli al Remain nei confronti dei genitori fautori del Leave (ecco il link: http://www.theguardian.com/lifeandstyle/2016/jun/27/brexit-family-rifts-parents-referendum-conflict-betrayal)

Venendo al calcio, i miei ventiquattro lettori oramai lo sanno benissimo: se c’è uno, in Italia, che non ne sa nulla, che non sa disquisire di formazioni e di tattiche e non ha mai messo piede in uno stadio, quello sono io.

Per quanto mi riguarda, le bandiere alle finestre le metterei in onore di Samantha Cristoforetti e di Fabiola Giannotti,  non di una banda di milionari tatuati che rincorrono una palla; però non faccio fatica a riconoscere che il calcio ha per moltissimi, ovunque, un valore che va molto oltre il mero fatto agonistico.

Succede in Italia, dove si è gioito per la vittoria contro la Spagna, e succede pure in Gran Bretagna. Perciò la tragicomica sconfitta degli arroganti inventori del calcio ad opera non della Germania, dell’Olanda o che so io, ma dell’Islanda, dicesi I-s-l-a-n-d-a, la cui popolazione complessiva è inferiore a quella di un sobborgo di Londra, assume un significato emblematico per un Paese che di orgoglio nazionale vive, e che proprio in nome di quell’orgoglio nazionale ha deciso di abbandonare la Comunità europea.

Dunque, la sconfitta – cocente e umiliante – agli Europei di calcio, tre soli giorni dopo la decisione di abbandonare l’Europa, assume per gli inglesi un valore emblematico: sono molti, ora, al di là della Manica, a chiedersi se, per caso, con l’Europa non abbiano sbagliato tutto, uscendone da una parte e facendosene sbattere fuori, con ignominia, dall’altra.

 

Giuseppe Riccardo Festa

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