Sarà un po’ un ragionamento del cavolo, ma Farage e i suoi colleghi al Parlamento europeo, come minimo, dovrebbero dare subito le dimissioni. E con loro – sorry, the door is there (spiacenti, quella è la porta) – tutti gli europarlamentari britannici che da oggi non hanno alcun titolo per occupare quegli scranni e, ancor meno, per percepire le cospicue prebende che finora, pur se orgogliosamente British, hanno pur sempre percepito dalle casse della Comunità di cui non fanno più parte. Meno che meno hanno il diritto di votare su materie che, da extracomunitari, non li riguardano più.
Anche io, come tanti, stamattina ho letto con stupore del rovesciamento che lo spoglio dei voti aveva provocato rispetto ai pronostici degli exit-poll. Ieri sera ero andato a dormire dicendomi: “Va be’, sono un po’ stronzi, ma alla fine della fiera è meglio se restano”.
Poi stamattina, letti i risultati, mi sono detto: “Va be’, sono un po’ stronzi; visto che vogliono andarsene, meglio se se ne vanno”.
Questa ambiguità, credo, caratterizza un po’ la reazione di noi tutti perché certo: i Beatles, il Big Ben, i Rolling Stones, il Globe Theatre, le bianche scogliere di Dover, Shakespeare, i Pink Floyd, Harry Potter: tutto bellissimo, tutto strafico; ma della spocchia degli inglesi, diciamoci la verità, ne avevamo le tasche piene.
Lavoravo a Londra, ricordo, quando nei lontani anni ’80 Margaret Thatcher, l’antesignana dell’antieuropeismo britannico, andava a Bruxelles a strillare I want my money back, voglio indietro i miei soldi, alludendo a un preteso sbilancio fra costi e benefici che lo stare in Europa comportava per i sudditi di sua maestà; lo stesso sbilancio – inesistente, perché Londra dalla UE è (anzi, era) prenditrice netta di risorse, non pagatrice – che tutti i successivi governi inglesi hanno lamentato fino a Cameron. Il quale, non pago dei privilegi che già il suo Paese aveva rispetto agli altri, ne ha voluto ancora e, grazie alla pavidità delle sue controparti, le ha pure ottenute. Ma agli orgogliosi figli di Albione non è bastato, e così hanno deciso di tornare ad essere liberi e indipendenti.
E allora prego, si accomodino.
Ci saranno difficoltà per tutti e i mercati già, più che annunciarle, stanno cominciando a metterle sul tappeto; però un filino di perfida soddisfazione ce l’ho pensando che, passata la sbornia patriottarda, gli inglesi si accorgeranno che le difficoltà peggiori arriveranno per loro: dalla Spagna, che rivendicherà la restituzione di Gibilterra; dai tanti investitori che faranno fagotto con conseguente perdita di migliaia di posti di lavoro; e dall’indebolimento della sterlina, che farà lievitare il costo delle importazioni. E in Inghilterra s’importa tutto, ma proprio tutto, a parte il whisky. Anzi, forse finiranno per importare anche quello, se come pare la Scozia tornerà a chiedere l’indipendenza. E così addio anche al Regno Unito: il pantheon britannico dovrà rinunciare a Sant’Andrea e anche a San Patrizio, visto che pure l’Irlanda del nord questo voto non l’ha gradito per niente.
L’indebolimento della sterlina abbatterà il potere d’acquisto dei salari oltre a provocare, ci si può scommettere, un rialzo dei tassi che penalizzerà ancora di più l’economia d’oltremanica.
Insomma, questo orgoglioso grido di trionfo si trasformerà in un grido di dolore quando si accorgeranno di essersi dati una solenne martellata negli zebedei.
Pure per noi non saranno rose e fiori; ma forse forse, chissà? A dispetto del pessimismo che pure ho espresso da queste pagine nei giorni scorsi, mi viene da pensare che alla fine, e in tempi nemmeno tanto lunghi, i benefici potrebbero superare i costi. Se i guai inglesi saranno abbastanza evidenti, gli antieuropeisti continentali vedranno spuntarsi molte delle frecce che ora agitano giulivi. Inoltre forse, finalmente, le istituzioni europee cominceranno a fare di meno i conti della serva e di più a promuovere i valori ideali che, quelli sì, dovrebbero essere il vero cemento dell’Unione: primo fra tutti la solidarietà.
Dunque, per quanto ami molte cose della Gran Bretagna (alcune le ho elencate più su), non vedo il motivo per piangere su questo divorzio: non ci amano? Pazienza. Chi non ci ama non ci merita. Mi è piaciuta la reazione, finalmente degna del ruolo che occupano, dei leader europei, che suona più o meno così: volete andarvene? E allora poche chiacchiere: andatevene subito fuori dalle scatole.
Goodbye, and good luck. Andate pure, e non vi preoccupate di chiudere la porta: ci pensiamo noi, dopo che sarete usciti; e la chiuderemo a doppia mandata. E credetemi: se dovesse dipendere da me, col cavolo, dopo, che la riapriremo: manco se ci pregate in ginocchio.
Giuseppe Riccardo Festa
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