Fenomenologia salviniana

Dunque, come abbiamo appreso durante i mesi in cui è stato dominus del governo, secondo Matteo Salvini la priorità assoluta, imprescindibile e vincolante per fare dell’Italia un Paese felice, sano, libero e prospero, è una e una soltanto: impedire alle navi dei volontari delle ONG non solo di portare i profughi nei nostri porti ma anche di raccoglierli in mare.

Tutti gli altri problemi, tipo la criminalità organizzata, la disoccupazione e la sottoccupazione, il debito pubblico, l’aumento dell’IVA, la corruzione dilagante, la ricostruzione post terremoto, il dissesto idrogeologico, l’aumento della povertà, l’evasione fiscale, sono, secondo Matteo Salvini, assolutamente secondari. Tanto è vero che la sostanza dei suoi quattordici o quindici mesi da ministro dell’Interno, vicepresidente del Consiglio e, soprattutto, gestore dell’agenda governativa, si risolve di fatto nei due decreti dedicati alla sicurezza: il primo, a lui intitolato e orgogliosamente presentato al mondo anche da Conte e Di Maio, il “Decreto Salvini”, e il secondo, “Decreto sicurezza bis”, approvato con voto di fiducia, da lui preteso due giorni prima che egli stesso sfiduciasse quel governo di cui faceva parte.

Beh, vero è che quest’ultimo contiene anche norme repressive delle manifestazioni di piazza, di fatto rese illegali; ma di questo aspetto lo stesso Salvini sembra disinteressarsi, visto che ora minaccia manifestazioni di piazza qualora nascesse un governo M5S/PD. Evidentemente, secondo Matteo Salvini, le manifestazioni di piazza da proibire e sanzionare sono solo quelle a lui avverse. D’altra parte, alle sue peculiari e molto soggettive valutazioni di ciò che è legale e ciò che non lo è, a partire da certi finanziamenti al suo partito e all’uso che se ne è fatto, siamo oramai avvezzi.

Così pure, siamo avvezzi a un uso molto disinvolto delle definizioni, sempre da parte del sullodato, quando si tratta di alleanze politiche. Accade perciò che egli non trovi nulla di strano nel formare un governo con quello stesso partito, il M5S, dal quale politicamente lo separano distanze siderali e al quale durante la campagna elettorale aveva erogato insulti velenosi, venendone entusiasticamente ricambiato: la formula per la creazione di quella compagine è stata “Contratto di governo”, così bizantineggiando, da entrambe le parti, sul fatto che secondo loro in realtà non si trattava di un’alleanza, e quindi le distanze politiche restavano.

Ora però che rischia di nascere un altro accordo di governo, ma con l’odiato PD, Matteo Salvini riesuma la parola “inciucio”: i rapporti contronatura, in conclusione, al leader leghista vanno bene solo se a praticarli è lui.

E mica solo quelli. Le contraddizioni, anche stridenti, sono la costante più caratteristica del personaggio: già ferocemente anti italiano, oggi si proclama fervente patriota e difensore dei sacri confini; odiatore da sempre dei meridionali, si fa eleggere senatore in Calabria; divorziato, con figli nati da compagne diverse, si erge a difensore della famiglia tradizionale; assenteista cronico, intima ai parlamentari di “alzare il culo e andare a lavorare”; grande baciapile, invocatore di cuorimmacolatidimaria e sventolatore di rosari, è indifferente alla sofferenza di donne e bambini fuggiti dai lager libici e accatastati per giorni su una nave.

Tutto questo spiega bene le ragioni del successo di Matteo Salvini. Gli italiani, tanti italiani, troppi italiani, si riconoscono in uno che, come loro, è insofferente delle regole, adatta le sue opinioni alle circostanze, esige onestà ma non la pratica, ha bisogno di nemici da odiare, coltiva un patologico razzismo, è bugiardo seriale, si serve del potere anziché considerarlo un servizio.

Gli italiani, tanti italiani, troppi italiani, sono esattamente identici a lui.

Giuseppe Riccardo Festa

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