Lunghi decenni di amoroso studio e ascolto della Musica (la maiuscola non è accidentale) mi hanno insegnato a discernere i talenti dai fenomeni. Talenti, quando si parla di tenori, erano ad esempio Corelli, Kraus, Domingo, Bergonzi, Carreras e, talento fra i talenti, Luciano Pavarotti: voci ricche, forti, chiare, capaci di competere col pieno di un’orchestra e di dominarlo vittoriose.
Nello stesso campo, e mi spiace deludere chi la pensa altrimenti, sono invece fenomeni i tre pischelli de “Il Volo” e Andrea Bocelli: frutti di una sapiente operazione mediatica, fabbricati dalle rispettive Case discografiche e pompati da una pubblicistica di bocca buona e scarsa competenza, sono al massimo buoni cantanti di musica leggera; ma passano per tenori.
Niente di strano: basti pensare che Vasco Rossi e Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti, riescono a passare per poeti e maitre à penser, i rapper per campioni di impegno civile, Giovanni Allevi per direttore d’orchestra e Achille Lauro, con le sue esibizioni di cattivo gusto, per artista estroso. Il nostro è un tempo di comunicazione di massa e superficiale in cui alla gente, per accettare un’idea, basta che quell’idea sia detta e ripetuta con adeguata frequenza: perché la gente (nel senso di massa), per definizione acefala e ottusa, non ha voglia di verificare, studiare e approfondire e al contrario guarda con fastidio e irritazione a coloro che verificano, studiano e approfondiscono. È per questo che imperversano le cosiddette fake news ed è per questo che le frasette da Baci Perugina delle canzoni di Jovanotti sono salutate da tanti come manifestazioni di profondo pensiero poetico, alla faccia dei De Andrè, De Gregori, Lauzi e Vecchioni; per non parlare dei Carducci, Pascoli, Leopardi, Quasimodo, d’Annunzio, Montale.
Il nostro tempo, in conclusione, grazie all’ignoranza delle masse e alla furberia dei media, è generosissimo nell’attribuire a sproposito patenti di nobiltà artistica: basta un niente per essere laureati a furor di popolo poeti, filosofi, musicisti; e tenori.
Un effetto collaterale di questa erogazione a pioggia di titoli artistici è la tendenza dei beneficiari ad allargare il ventaglio delle proprie incompetenze esprimendosi anche in campi diversi da quello al quale debbono la propria fama, dimostrando di soffrire di una patologia diffusissima, la esominzione perniciosa, che poi sarebbe il vizio di fare la pipì fuori dal vasino.
Il più recente esempio di questa patologia lo ha fornito proprio Andrea Bocelli il quale ha tentato di mostrarsi a un tempo esperto di statistica e filosofo aristotelico enunciando, a un convegno voluto da Vittorio Sgarbi e Matteo Salvini, un sillogismo che afferma, in sostanza, che poiché fra la tanta gente che egli conosce nessuno è finito in terapia intensiva a causa del Covid-19, allora evidentemente questa malattia non è così grave e diffusa come dicono coloro che, costringendolo in casa, lo hanno (parole sue) umiliato e offeso.
Che strano: non sembrava così umiliato e offeso, Andrea Bocelli, quando si è esibito a Milano, nel duomo suggestivamente vuoto, proprio per le vittime del Covid-19. Non sarà che quell’esibizione faceva audience, e dunque andava bene, e andava bene anche partecipare al convegno di Sgarbi e Salvini, perché bene o male fa audience anche quello? Non sarà, insomma, che il Signor Bocelli è pronto a dire e fare tutto e il contrario di tutto, purché si parli di lui?
E poi attenzione, signor Bocelli: il sillogismo è una brutta bestia, e la statistica è ancora più brutta.
Il sillogismo, per chi non lo sapesse, è un processo logico per cui, date due premesse, si arriva a una conclusione. Ad esempio: di notte è buio (prima premessa); adesso è buio (seconda premessa) ergo: adesso è notte (conclusione).
Il problema è che è facile, giocando coi sillogismi, sparare clamorose panzane, sul tipo: Giorgio fischia (prima premessa); i treni fischiano (seconda premessa) ergo, Giorgio è un treno (conclusione).
Il fatto, Signor Bocelli, che nel suo entourage nessuno si sia ammalato di Covid-19 non significa niente. Neanche nel mio, se è per questo. E, pensi, nel mio entourage nessuno è mai stato a un suo concerto. Questo non significa che lei non abbia mai dato concerti, non le pare? Anche la statistica, Signor Bocelli, richiede competenza e studio. Dunque non si avventuri in campi scivolosi e insicuri, se non possiede gli strumenti necessari per affrontarli.
Insomma, Signor Bocelli, si goda la sua fama di tenore, per quanto pompata e artificiosa essa sia, e non tenti di aggiungere altre fame, di statistico e di filosofo, che le si attagliano ancora di meno: oltre ad essere imbarazzanti, e costringerla poi a clamorose e precipitose marce indietro, potrebbero alienarle parte del pubblico, che è di bocca buona e va bene; ma a volte ha degli sprazzi di lucidità.
Giuseppe Riccardo Festa
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