Chi vuole distruggere la scuola pubblica italiana?

L’ultima è di oggi, e riguarda una professoressa che in un istituto professionale di Roma avrebbe offerto una canna ai suoi studenti; nei giorni scorsi ha fatto molto rumore la storia del professore di Pontedera che ha mollato un cazzottone a uno studente che lo sfotteva, mentre gli altri filmavano giulivi la scena, e prima ancora un fatto analogo è stato riferito da Scandicci, nei pressi di Firenze.

Eventi del genere danno precisa la sensazione di una scuola pubblica allo sfascio, in cui da una parte gli studenti fanno un po’ quello che gli pare e dall’altra docenti incapaci e privi di competenze pedagogiche danno pessimi esempi o finiscono per ricorrere alla violenza per sopperire alle loro carenze: la scuola pubblica, si direbbe, di insegnanti ne ha pochi (ogni anno scolastico inizia col balletto dei precari e la corsa a tappare i buchi, per non dire le voragini, negli organici), e i pochi che ci sono non sono all’altezza del loro compito o, per meglio dire, della loro missione.

Poi ci sono le storie dei locali fatiscenti, dei soffitti cadenti, dei laboratori inadeguati.

Così le cronache.

So di ricorrere a una metafora frusta e abusata, ma mi pare di assistere all’ennesimo esempio di gente che ascolta l’albero che cade ma non bada alla foresta che cresce, a ciò spinta da una pubblicistica che con questo genere di notizie sembra andare a nozze; e che a nozze ci va, con questo genere di notizie, tanto più volentieri quanto più il governo in carica è rivolto verso destra.

Conosco il mondo della scuola italiana: oltre ad avere insegnanti fra i membri della mia famiglia, nella scuola ci ho lavorato collaborando con alcuni istituti, dalle elementari alle superiori, per attività extra-curricolari. Ho avuto modo di conoscere insegnanti e dirigenti motivati, colti, capaci e competenti e studenti rispettosi, per quanto vivaci (guai se vivaci non fossero!) e curiosi oltre che consapevoli.

Isole felici? Può darsi. Ma se fosse vero che sono isole felici gli istituti coi quali ho collaborato e il personale che ho frequentato, non sarebbe meno vero che sono al contrario eventi episodici, e non sintomi di uno sfascio totale, quelli che le cronache amano tanto sottolineare.

Cui prodest? Chi ha interesse a dare della nostra scuola pubblica un’immagine così negativa, pur sapendo che sono innumerevoli i docenti impegnati, competenti, volonterosi ed entusiasti a dispetto degli stipendi indecorosi, degli oneri burocratici assurdi, del prestigio ridotto in frantumi da una politica che li avvilisce e li umilia?

Per una volta, voglio improvvisarmi complottista. Da sempre le destre, infischiandosene del dettato costituzionale (invito gli smemorati a rileggersi l’art. 33, II comma, della Costituzione: Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato) smaniano per far ottenere alle scuole cosiddette “paritarie” (cioè private, e quasi tutte confessionali) succosi finanziamenti pubblici che fatalmente vengono sottratti alla scuola pubblica, che ne esce impoverita e indebolita così rinforzando, in un circolo vizioso, il presupposto che giustificherebbe quei finanziamenti: “la scuola pubblica non ce la fa, e allora aiutiamo quella privata che sopperisce alle sue carenze”.

La scuola pubblica diventerebbe così, secondo il mai abbastanza vituperato modello statunitense, il ghetto in cui ammassare i non ricchi, anche se sono capaci e studiosi, mentre gli altri – pagando, s’intende, perché al contributo statale si affiancano sostanziose rette – frequentano istituti dove il diploma è garantito anche a chi meriterebbe d’essere bocciato pure all’esame delle urine.

Una volta esisteva il Ministero della pubblica istruzione. Il primo governo Berlusconi rimosse l’aggettivo pubblica dalla denominazione del dicastero, e non fu per caso. La visione della società di Berlusconi allora, e delle destre attuali, è elitaria e immobilista e guarda con favore al blocco dell’ascensore sociale, ormai fermo da anni e, visto l’andazzo, destinato, ammesso che riparta, a precipitare nel sottosuolo.

Quello che fa male è dover constatare che anche le forze politiche che si definiscono progressiste sembrano favorire il processo in atto, rinunciando così a quella che dovrebbe essere la loro missione primaria: facendo un’opposizione seria, convinta e costruttiva, promuovere la consapevolezza, la crescita culturale e con essa quella materiale dei cittadini, anche i più sfortunati e i meno abbienti: una missione che ha come suo principale strumento proprio la scuola pubblica.

Ma purtroppo le forze politiche progressiste hanno smarrito il senso stesso della loro esistenza e anche per questo vedono liquefarsi il consenso delle classi sociali più sfortunate e meno abbienti, in teoria il loro elettorato di riferimento, e come i famosi capponi di Renzo de I Promessi Sposi, invece di coalizzarsi per opporsi a questa deriva classista e demagogica s’ingegnano a beccarsi e ad accapigliarsi fra loro riuscendo così a dimostrarsi, se non altrettanto classiste, certamente irritanti, spaventosamente inutili e, quel che è peggio, più demagogiche dei loro avversari.

Giuseppe Riccardo Festa

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