CALABRIA, LA SOLITUDINE DEL VOTO: OCCHIUTO TRIONFA, MA LA REGIONE RESTA LONTANA DALLA POLITICA!

Il presidente uscente del centrodestra riconfermato con largo margine, ma l’affluenza scende al 43%. La Calabria premia la continuità, mentre cresce la distanza tra cittadini e politica.

Roberto Occhiuto e Antonio Tajani

Antonio Loiacono

Nelle urne calabresi ha vinto la continuità, ma ha perso la partecipazione. Roberto Occhiuto, volto del centrodestra unito, è stato rieletto con un ampio margine – il 57,26% – consolidando una leadership percepita come stabile e prevedibile. Ma dietro il trionfo personale e politico del governatore si nasconde un dato che pesa come un macigno: solo il 43,14% degli elettori si è recato alle urne. Più di un calabrese su due ha scelto l’astensione. E quando vota meno della metà dell’elettorato, la verità è semplice e amara: non vince davvero nessuno!

È qui, nel vuoto della partecipazione, che si misura il vero stato di salute della democrazia calabrese. Una regione che, storicamente, rappresenta “un’area marginale ma profondamente conservatrice della civiltà greca” (diceva Pasolini, parlando della Calabria): custode di un’identità antica, ma anche prigioniera di un immobilismo che la condanna all’isolamento.

Il trionfo dell’astensionismo

Occhiuto, sostenuto da Forza Italia, Fratelli d’Italia, Lega e liste civiche, ha saputo consolidare il dominio del centrodestra in una terra dove il radicamento territoriale e le reti locali contano più dei programmi. La sua campagna, incentrata sui risultati del primo mandato – dalla sanità al progetto del “reddito di merito” – ha insistito su un messaggio rassicurante: “Andiamo avanti, non torniamo indietro.

Ma la vittoria del presidente è, di fatto, figlia di una partecipazione dimezzata. In un contesto dove votano solo gli elettori più fedeli, le forze radicate vengono premiate per inerzia. È l’astensionismo cronico, non l’entusiasmo, a blindare il potere.

Un politologo dell’Università della Calabria lo sintetizza così: “Non è solo disaffezione, ma distacco sociale. Il voto non è più percepito come un atto capace di cambiare la realtà.

Il naufragio del centrosinistra e del post-grillismo

Dall’altra parte, il centrosinistra guidato da Pasquale Tridico – economista, ex presidente dell’INPS e “padre” del reddito di cittadinanza – si è fermato al 41,73%. È stato imposto dal Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte, che ha preteso la candidatura nel nome del Campo largo. Ma il risultato non è stato quello che ci si aspettava, tanto nei numeri quanto nel significato politico.

Il declino del post-grillismo è ormai vistoso, e i limiti strutturali del cosiddetto “Campo largo” si sono riproposti in modo inesorabile. Una coalizione che tale non è, un’alleanza di vertice incapace di tradursi in consenso reale.

Per la segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein, si tratta dell’ennesima smentita della presunta “spinta propulsiva” dell’asse con Conte. In Calabria, più che altrove, l’entità della sconfitta è impietosa: non solo nel divario di voti, ma nella mancanza di visione e radicamento!

E c’è chi, tra gli osservatori, cita il vecchio adagio di Pietro Nenni: “Piazze piene, urne vuote” !

Un Paese spaccato e la domanda inevasa

Il bilancio politico nazionale, d’altra parte, è eloquente. Dalle politiche in poi, il conto è 12 a 3 per Giorgia Meloni: il centrodestra ha perso solo in Sardegna (dove si è diviso), in Emilia Romagna e in Umbria. Ovunque altrove, ha vinto. E ogni volta, sul fronte opposto, la stessa dinamica: una coalizione “larga” solo di nome, che perde perché non è mai davvero tale.

Eppure la vera domanda resta sospesa: chi si preoccupa di parlare a quel mezzo Paese che non vota più? Chi si assume la responsabilità di proporre un’offerta politica credibile, concreta, capace di riaccendere la fiducia di un elettorato ormai silenzioso?

Un mandato fragile

Il trionfo di Roberto Occhiuto è indiscutibile sul piano numerico e politico. Ma resta fragile sul piano democratico. Quando meno della metà dei cittadini sceglie di esprimersi, ogni vittoria appare sospesa, come se mancasse qualcosa di essenziale: il consenso reale, quello che nasce dal coinvolgimento e non solo dall’abitudine.

La Calabria, ancora una volta, ha premiato la stabilità. Ma la stabilità, da sola, non è speranza.
E finché la maggioranza dei calabresi continuerà a voltarsi dall’altra parte, la domanda più urgente resterà senza risposta:
chi governa davvero una terra che ha smesso di scegliere?

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