
■Antonio Loiacono
Se qualcuno pensava che Giorgia Meloni avrebbe chiuso Atreju con toni pacati e concilianti, beh, si sbagliava di grosso. La premier, con la grinta di chi non ha bisogno di alzare troppo la voce per far tremare i polsi, ha sfoderato un repertorio fatto di rivendicazioni, frecciate e, soprattutto, di quelle stoccate al vetriolo che ormai sono diventate un tratto distintivo del suo “one-woman show”.
Tra applausi, entusiasmo contagioso e sorrisi fieri, Giorgia ne ha per tutti.
“Deludere la sinistra è il nostro sport preferito”. La battuta sullo “sport nazionale” è piaciuta parecchio alla platea. Effettivamente, tra maratone di riforme, sprint contro i detrattori e qualche lancio di freccette, lo sport preferito della premier pare funzionare alla grande: mantenere unito il governo e provocare l’opposizione, che puntualmente abbocca. D’altro canto, anche i record sportivi vanno rivendicati: “Un milione di posti di lavoro in due anni: Berlusconi sarebbe fiero”. Chapeau!
Meloni ha ricordato le origini di Atreju, quando nel 1998 era una sfida per una generazione che voleva rompere schemi ideologici. Ora l’orizzonte si è allungato fino al 2032, con tanto di prenotazione simbolica: perché alla fine, a Giorgia, i numeri piacciono quando fanno notizia (e non quando servono a contestare i dati della sanità o dei posti di lavoro). “La stabilità è la nostra forza”, ha sottolineato la premier, rivendicando una compattezza di governo che – piaccia o meno – la distingue dalle turbolenze degli anni passati
Non c’è Atreju senza polemica sindacale, e Meloni non si tira indietro: “Se avessimo parlato come Landini, sarebbero arrivati i caschi blu dell’ONU”. Un’iperbole che fa sorridere e che inchioda il segretario della CGIL nel suo ruolo di antagonista designato. Quanto a Elly Schlein, nemmeno il tempo di replicare: “La calcolatrice serve a voi” suona come un invito a tornare ai fondamentali della matematica politica. Non poteva mancare un’immagine equina: “Molti hanno puntato sul nostro fallimento, ma hanno scommesso sul cavallo sbagliato”. E mentre la platea applaude, la sinistra guarda nervosamente i bookmakers.
Giorgia non nomina mai l’autore di Gomorra, ma il riferimento è nell’aria. Come dire: perché sprecare parole quando l’eco delle battaglie passate parla già da sé? Dopotutto, Meloni sa bene che un silenzio calibrato vale più di un discorso e, questa volta, ha preferito lasciare il microfono agli altri.
Sui centri per migranti in Albania, Giorgia alza i toni con un’immagine che non passa inosservata: “Funzioneranno, dovessi passarci ogni notte”. Come una moderna sentinella, promette di presidiare l’operazione con fermezza, mentre sul fronte delle riforme avvisa: premierato, autonomia e giustizia non si fermeranno. Piaccia o meno, il treno è partito.
Atreju si è chiuso con il solito mix esplosivo: rivendicazioni, promesse, un po’ di commedia e tanta determinazione. Meloni, dal palco, è sembrata più sicura che mai, scagliando frecciate e citazioni, alternando il serio all’ironico, e ricordando a tutti che in politica, a volte, “deludere gli avversari” è la più grande delle soddisfazioni.
E ora? La partita è aperta, ma Giorgia ha già prenotato il campo da gioco fino al 2032. Caschi blu o meno, il pubblico è avvisato.
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