CAIVANO (E NON SOLO): QUANDO LA POLITICA SCOPRE L’ACQUA FREDDA

Oltre al fatto in sé, ripugnante e osceno quanto altri mai, quando accadono tragedie come quella dello stupro a Palermo di una diciannovenne e quello (per giunta sistematico) di Caivano di due bambine, da parte di bande di ragazzotti imbottiti di testosterone, di prepotenza e di ignoranza, in contesti di miseria e di degrado culturale, sociale e morale, la cosa più triste è la reazione della politica – di tutta la politica – che sembra scoprire soltanto in circostanze così tragiche la situazione di certe periferie.

Quelle periferie che in realtà i politici – e tanto più colpevolmente i politici di sinistra, o presunti tali – nel migliore dei casi ignorano, e in tutti gli altri casi guardano con fastidio, presi come sono dalle loro alchimie e dai loro ragionamenti astratti, e comunque intenti a corteggiare quella parte della popolazione che ritengono più appetibile ai fini elettorali. Non lo ammetteranno mai, i politici, che in fondo alla loro psiche (ma neanche poi tanto in fondo) la gente che vive nelle periferie è plebe ignorante, indifferente alla politica e quindi sostanzialmente inutile, quando non una zavorra fastidiosa e onerosa.

Poi accadono quelle tragedie ed ecco che tutti, come per incanto, s’indignano, s’impegnano, promettono, visitano; e scoprono che in quei quartieri le case sono fatiscenti, i fanali spenti, l’elettricità manca, non c’è riscaldamento, gli ascensori non funzionano, i giardini sono selve in cui crescono solo sterpaglie e siringhe, i servizi sono assenti.

Allo stesso modo, pur se le statistiche dicono che ogni giorno in Italia tre persone muoiono sul lavoro e tante altre subiscono danni fisici debilitanti; dopo che per anni si è fatto di tutto per incentivare la riduzione del costo del lavoro con appalti al massimo ribasso, umiliando il lavoro ed esaltando il profitto, ci si meraviglia e ci si scandalizza se accadono tragedie come quella che ha falciato cinque operai sui binari della ferrovia (ferrovia locale, beninteso: una cosa di seconda categoria) Milano-Torino.

La presidente del Consiglio Meloni è andata a Caivano. Sembra che il suo partito abbia diffuso istruzioni affinché i militanti la accogliessero giubilanti ma si facessero passare per “persone normali”, per battere la concorrenza di coloro i quali, deprivati del “reddito di cittadinanza” l’avrebbero, e in effetti l’hanno, contestata. Lei magari a Caivano c’è andata spinta da un sincero per quanto tardivo spirito di solidarietà e vicinanza, ma sicuramente gli altri, nel partito, hanno visto in quella trasferta solo un’occasione di promozione elettorale.

Dall’altra parte della barricata il presidente della Regione, De Luca, che in Campania c’è nato e cresciuto e fa politica fin dai tempi dell’asilo, non manca di lanciare l’ennesima invettiva, dichiarando che Caivano è l’inferno e invocando per quel disgraziato comune un presidio militare, cadendo anche lui rovinosamente dal fico; altri, a sinistra, criticano don Patriciello perché ha invitato Meloni a visitare il luogo, quasi che il noto prete anticamorra dovesse dimenticare che la stessa Meloni è capo del Governo, e comportarsi non da parroco ma da militante di partito.

Meloni, da parte sua, annuncia che a Caivano si è consumato il fallimento della Stato.

Ben alzata, presidente. Se n’è accorta solo adesso? E solo a Caivano? E della sterminata terra dei fuochi non sa niente? E dei quartieri spagnoli di Napoli dove i minorenni ammazzano per una banale lite? E di tutti quei quartieri dormitorio non meno fatiscenti di Roma, che pure è la sua città natale? E dei borghi calabresi in mano alla ‘ndrangheta? E di Foggia, terreno di scontro delle mafie pugliesi? E delle infiltrazioni mafiose in Lombardia? E dei campi di pomodori, e dei cantieri edili in cui il caporalato schiavizza immigrati senza nome e senza speranza?

Di fallimenti, lo Stato, ne fa collezione, presidente. Bisogna essere molto ciechi, o molto ipocriti, per denunciarne solo uno, e soltanto quando è legato a un vergognoso e clamoroso fatto di cronaca.

A Caivano lei ha fatto una promessa, ma quante Caivano ci sono in Italia, e soprattutto in quel Sud al quale il suo governo ha appena tolto fette sostanziose dei finanziamenti del PNRR?

Mi permetta, presidente, un sommesso suggerimento. Faccia due chiacchiere col suo ministro delle Infrastrutture. Gli dica, per favore, che il Sud Italia – ma non solo il Sud – non ha bisogno di ponti sullo Stretto ma piuttosto di case decenti, di ferrovie efficienti, di scuole, medici, ospedali, strade, assistenti sociali, risanamento del territorio, investimenti produttivi, lavoro.

Non so se lei gli parlerà, e anche se lo facesse non so se lui la ascolterà. Comunque ci provi. Ad ogni modo le prometto che, di qui a un anno, andrò a vedere se a Caivano è cambiato qualcosa. Probabilmente sì, qualcosa sarà cambiato. Ma dubito che lo stesso succederà anche nelle altre dieci, cento, mille Caivano che in Italia piangono per l’abbandono, l’incuria e l’indifferenza – in una parola: il fallimento – dello Stato.

Giuseppe Riccardo Festa

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