A quanto pare, Nicola Pietrangeli proprio non vuole ammettere che ci sono tennisti più bravi di lui e non perde occasione per fare dichiarazioni imbarazzanti che servono solo a mettere in evidenza quanto il suo ego sia ipertrofico, narcisista e livoroso.
Pietrangeli pretende di avere il diritto di essere ritenuto il numero uno del tennis italiano e lo fa dimenticando che non si può essere numeri uno in aeternum: prima o poi il capobranco viene sempre sconfitto da uno più forte, più giovane o più sveglio di lui, è una legge della natura.
Quanto sarebbe più nobile, oltre che più intelligente, se Pietrangeli, imitando Panatta, ammettesse che i Sinner e anche i Berrettini, e gli altri che già per due anni di seguito hanno portato la Coppa Davis in Italia, sono bravi, e basta, senza insistere a paragonarsi a loro! Anche perché, mi dice chi di tennis (diversamente da me) ne capisce, quello dei tempi di Pietrangeli (e di Panatta, oltre che di Borg, McEnroe, Connors e tanti altri) era un altro tennis: allora si giocava con racchette di legno e tenute bianche immacolate, oggi si gioca con racchette in superfibra di carbonio, tenute casual, e, soprattutto, ogni tennista ha dietro di lui una folla di preparatori, massaggiatori, consiglieri, psicologi, dietologi, segretari e diosachealtro, mentre i tennisti del passato al massimo si facevano accompagnare da un cugino disoccupato.
Ad irritarmi, però, nel rapporto di Pietrangeli con i tennisti di oggi, più che la supponente pretesa del primo di essere sempre e comunque in primo piano (sulla quale tendo a stendere un velo di umana pietà) sono i commenti di chi ascrive questa pretesa alla sua età avanzata. Commenti secondo i quali, passata una certa soglia, ognuno diventa un po’ cretino, malato di protagonismo e perennemente imbronciato se non gli si dice “il più bravo resti tu”. Secondo questi commenti, un ultraottantenne è per definizione un rimbambito.
La prova di quanto questi commenti siano sbagliati sta in primo luogo nel gran numero di grandi tennisti del passato – a partire da Panatta – che diversamente da Pietrangeli non nascondono la loro ammirazione per Jannik Sinner e, in subordine, per Matteo Berrettini e gli altri dello squadrone della Nazionale Italiana di tennis, e in secondo luogo nell’ovvia constatazione che, tennis a parte, il mondo è pieno di grandi vecchi che quanto a lucidità e presenza di spirito hanno dato e continuano a dare dei punti anche non solo ai quarantenni, ma perfino ai trentenni: penso a Piero Angela, a Rita Levi Montalcini, ad Albert Einstein, Umberto Eco, Bertrand Russell, al fortunatamente ancora ben vivente Corrado Augias. E non dimentichiamo, per chiudere l’elenco in bellezza, che Giuseppe Verdi compose il suo splendido “Falstaff” a ottant’anni suonati.
Insomma, non c’è bisogno di diventare vecchi per dimostrarsi spocchiosi, arroganti, livorosi, invidiosi, antipatici e sgradevoli: vizi e virtù ce li portiamo dietro dalla nascita; l’età, al massimo, li mette in maggior risalto.
Nicola Pietrangeli, mi dispiace doverlo dire, non è spocchioso, arrogante, livoroso, invidioso, antipatico e sgradevole perché è vecchio: lo è perché, come direbbe Jessica Rabbit, l’hanno disegnato così.
Giuseppe Riccardo Festa
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