Tenga duro, Presidente!

Tra gli strenui difensori della Costituzione che il 4 dicembre di due anni fa fecero naufragare la riforma tanto fortemente voluta da Matteo Renzi, e con essa anche i suoi eccessivi sogni di grandeur, qualcuno forse era motivato appunto, più che dall’intenzione di difendere la Carta costituzionale, dal desiderio di liberarsi dello stesso Renzi. Fra loro non tutti appartenevano alle forze politiche attualmente impegnate nel tentativo di creare un governo: la bravura dell’allora presidente del Consiglio nel crearsi dei nemici spinse infatti anche molti suoi ormai ex compagni di partito a schierarsi per il “no”, contribuendo all’indebolimento del PD e al suo successivo crollo elettorale.

Gli eventi di questi giorni confermano questo sospetto, per quanto riguarda i vincitori del voto, aggiungendo l’ulteriore sospetto che la Costituzione, in realtà, essi non la conoscano tanto bene, dato che dopo averla difesa a spada tratta quando si trattava di sbarazzarsi di Renzi, dimostrano ora, sia nei programmi di governo che nei comportamenti, di voler farne carta straccia, nel peggiore dei casi, o nel migliore di ignorarne, appunto, i contenuti.

L’alleanza di governo che Matteo Salvini e Luigi Di Maio hanno siglato (loro, per distinguersi dagli altri la chiamano “contratto”, ma come diceva mia nonna si tratta di distinzioni di lana caprina) prevede infatti, fra l’altro, l’introduzione del vincolo di mandato per i parlamentari, che attualmente è espressamente escluso dall’Art. 67 della Costituzione, secondo il quale ogni parlamentare rappresenta l’intera nazione e deve rispondere dei suoi atti solo alla propria coscienza. Ciò fu previsto dai Padri costituenti, memori delle sciagure del Ventennio, allo scopo di impedire che il Parlamento diventasse una mera espressione della volontà dei partiti e dei loro capi, ma evidentemente il capo della Lega e quello del M5S non vogliono che le loro pecorelle fuggano dal gregge e si dispongano a “obbedir tacendo e tacendo morir”.

Anche la ventilata ipotesi di un’imposta sul reddito con un’aliquota unica per tutti è anticostituzionale, ma Salvini insiste per l’introduzione della cosiddetta “flat tax” dimostrando di avere poche idee, ma molto confuse, in materia di equità e di giustizia fiscali: togli il 15% a uno che guadagna 20.000 euro all’anno, e lo lascerai con 17.000; toglilo a uno che ne guadagna 200.000, e gliene lascerai 170.000: il ricco riderà, il povero piangerà. E piangerà ancora di più, mentre il ricco si sganascerà dalle risate, perché per recuperare l’inevitabile riduzione di gettito il fisco dovrà intervenire sulle tariffe dei servizi e sulle imposte indirette, pesando ancora di più sui miseri 17.000 euro del povero e facendo un baffo al ricco, che per giunta ha pure risparmiato alla grande sull’IRPEF.

Sempre in materia costituzionale, i futuri governanti del Paese si dimostrano a corto di conoscenze per quanto riguarda le prerogative del Capo dello Stato circa la nomina dei ministri. Salvini si dice pubblicamente “molto arrabbiato”, e riceve il “like” di Di Maio, perché il Presidente Mattarella non accetta l’imposizione da parte loro di un ministro per l’economia, Paolo Savona, dichiaratamente anti europeista e anti-euro: loro trovano la cosa irritante, ma a norma dell’Art. 92 della Costituzione è il Presidente, non i capi dei partiti, a nominare i ministri.

Mattarella è preoccupato, e a ragione, perché da un canto l’alleanza – pardon: “il contratto” – di governo prevede misure costosissime e sorvola disinvolto sulle relative coperture finanziarie, e dall’altro Savona ha pubblicamente enunciato idee dirompenti in materia di moneta e di debito: sono idee e misure che se applicate potrebbero provocare la cacciata (non l’uscita) dell’Italia dall’Euro, il crollo della nostra credibilità internazionale, il ritiro di tutti gli investimenti esteri dal Paese, il crollo della produzione industriale e dei commerci, una distruttiva impennata iperinflazionistica, e con essa la distruzione del reddito di milioni di famiglie di lavoratori dipendenti e pensionati: uno scenario, per capirci, del tutto simile a quello dell’Argentina.

I disinvolti e caparbi vincitori delle elezioni, forti di un seguito popolare poderoso, almeno numericamente, non sembrano badare più di tanto a questi rischi; sui social network i loro seguaci e sodali lanciano messaggi neanche tanto larvatamente minacciosi al Presidente, che però pare intenzionato a non cedere: solo contro tutti, egli difende la Costituzione e le sue prerogative, e con esse, ergendosi a baluardo contro il pressappochismo e il velleitarismo, difende il Paese.

Non so voi, miei ventiquattro pazienti lettori, ma io guardo con immenso rispetto e ammirazione verso questo Capo dello Stato che indifferente alla furia delle plebi e dei loro rappresentanti, forte della sua cultura, della sua intelligenza e del suo buonsenso oppone all’avventurismo il suo pacato e mite, ma fermo, “no”. Ed è per questo che mi sento di esprimergli, con commozione, il mio affetto e la mia gratitudine.

Con tutto il cuore: grazie, Presidente.

Giuseppe Riccardo Festa

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