Sanremo, terza serata: “Si spalancò la bocca che sbadiglia, / più non reggendo alla noia mortale, / e caddi come l’uom che il sonno piglia”

I guaiti e gli ululati di Giuliano Sangiorgi aprono la serata per commemorare Lucio Dalla, che oggi avrebbe compiuto gli anni. Non pago, dopo aver stravolto “4 marzo 1943”  Sangiorgi uggiola anche su “Meraviglioso” di Domenico Modugno, che da “Meraviglioso” diventa “straziante”. L’inizio non promette niente di buono.

La gara stasera è basata sull’esecuzione di cover, ossia di brani di successo del passato, da parte dei cantanti in concorso affiancati da altri interpreti, e il fatto che il voto lo dia l’orchestra rende la cosa interessante. Esordisce Noemi, quella dai capelli color aragosta, che esegue “Prima di andare via” di Neffa, che la affianca: pezzo buono per fare quattro salti ma certo non un caposaldo della storia della musica. Ma poi, dico io, che razza di nome è “Neffa”? Voto 6, giusto perché Noemi ha i capelli color aragosta.

Il secondo pezzo è eseguito da Fulminacci ed è “Penso positivo” di Jovanotti, quindi manco perdo tempo ad ascoltarlo. Anzi, tolgo proprio l’audio al televisore perché detesto il rap e detesto Jovanotti che in Italia ne è stato il profeta, lanciato da Pippo Baudo che porco mondo quanto sarebbe stato meglio se quel giorno in cui ha lanciato Jovanotti fosse rimasto a letto a viaggiare intorno a Katia Ricciarelli, la sua allora amatissima sposa: si sarebbe divertito di più lui (lei non lo so) e avrebbe risparmiato al mondo un rapper di successo . Voto: 0

La presunta co-conduttrice di stasera è una modella, Vittoria Ceretti. Onestamente non ho idea di chi sia visto che la mia ignoranza, oltre che nel mondo della musica ggiòvane, si allarga anche in quello della moda. Secca secca e lunga lunga, immancabile tatuaggio, durante il resto della serata (almeno la parte che riesco a seguire) si vedrà molto poco, anche perché poi ritorna il calciatore Ibrahimovich. Ma andiamo per ordine.

La modella presenta Renga che si fa accompagnare da una specie di matrioska (una tizia inguardabile con la parrucca azzurra, bassa e larga che per sembrare più alta dovrebbe sdraiarsi sul dorso), per cantare “Una ragione di più”, a suo tempo interpretata magistralmente da Ornella Vanoni. Stasera il ritmo è scandito da una batteria in controtempo, molto sgradevole. Il fatto è che se conosci l’interpretazione originale di una bella canzone la rivisitazione desta sempre sospetti e malumori, salvo che sia magistrale; e questo non è il caso. Voto, anche per via della matrioska: 3

Gli Extra Liscio presentano un medley su Rosamunda che include anche “Romagna mia” e “Casachock”. Esibiscono genio e sregolatezza, sono bravi, simpatici e sopra le righe. Voto: 8

Simpatica la satira di Fiorello sulle dimissioni di Nicola Zingaretti dalla segreteria del PD, di cui il Fiore nazionale si attribuisce la responsabilità (lui ha parlato molto delle poltrone dell’Ariston e Zingaretti ha giustamente accusato i suoi colleghi di partito di pensare solo alle poltrone). Non particolarmente brillante, anche se sicuramente difficile, il medley di canzoni di Morandi con testi di quelle di Ranieri e viceversa che esegue dopo: una dimostrazione che le cose difficili non necessariamente sono anche belle.

Torniamo alla gara con Fasma che esegue “La fine”, che ammetto di non aver mai sentito prima e che ascoltandola mi fa pensare che non ho perso niente. Un microfono non funziona, Amadeus manda la pubblicità e il pezzo ricomincerà dopo. Il pezzo, dopo la cellulina dell’acqua Lete e gli sconti di Poltrone&Sofà, resta brutto lo stesso: il solito rap, i soliti movimenti spastici, la solita filastrocca, la solita desolante assenza di musica. Voto: 1 (un punto generosamente glielo regalo solo perché, pur essendo un rap, non è di Jovanotti).

Il sesto cantante in gara è Bugo che esegue “Un’avventura”, dei mitici Mogol-Battisti. Bugo conferma l’insicurezza della sua impostazione vocale. L’interpretazione la salvano, anzi, tentano di salvarla, i “Pinguini tattici nucleari” che duettano con lui. Ma le sue stonature sono terrificanti. Voto 2.

Settimi Francesca Michielin e Fedez (che stasera indossa pantaloni da pugno in un occhio, che danno l’impressione di essere tatuati pure loro). I due cantano un medley, “E allora felicità”, che include “felicità” di Albano e Romina. Il tutto molto brutto, e comunque tutto sfocia nel solito rap. Voto: 1 (vedi motivazione sul pezzo di Fasma)

Irama presenta in absentia (essendo in quarantena) la registrazione che ha fatto durante le prove di “Cyrano” di Guccini, coinvolto anche con un breve inserto recitato dal testo di Rostand. Merito anche del pezzo, al cantante do un 7.

Di CCCP I Mareskin (tutti, uomini e donne, indossano chissà perché un busto rosa) accompagnati da Manuel Agnelli eseguono “Amandoti”. L’arrangiamento rock e quasi heavy metal non aiuta il pezzo ad assumere una qualunque fisionomia. Ma non è un rap e quindi gli do un 4, nonostante le stecche terrificanti non so se di Agnelli o del cantante del gruppo.

Un altro pezzo di Jovanotti per Random, “Ragazzo fortunato”. Io, ovviamente, gli do 0, sia per il pezzo che ha scelto che per la totale, inqualificabile, stupefacente mancanza di musicalità del concorrente.

Samuele Bersani è il partner di Willy Peyote nell’esecuzione di “Giudizi universali”, dello stesso Bersani, noto autore di sfiancanti omelie musicali. Certe malelingue dicono che i pezzi di Bersani siano utilizzati con successo dalla CIA a Guantanamo per costringere i talebani a confessare i loro crimini. Voto 3

Intervallo culturale con l’attrice Antonella Ferrari che interpreta un momento dello spettacolo teatrale in cui racconta la sua sclerosi multipla. Brava e intensa, una boccata d’ossigeno.

Assistito da Valeria Fabrizi, vedova di Tata Giacobetti del Quartetto Cetra, Amadeus presenta Orietta Berti che canta “Io che amo solo te” di Sergio Endrigo. La canzone è un capolavoro e oggettivamente la Berti e il suo gruppo spalla al femminile, le “Deva”, la cantano bene. Voto 9. Se in un qualunque momento, da tre minuti fa andando indietro fino al giorno della mia nascita, qualcuno mi avesse detto che avrei apprezzato la Berti che canta, gli avrei riso in faccia. O tempora, o mores.

Arriva Ibrahimovich che resta sul cliché dell’esibizione di finta arroganza, che alla lunga diventa stucchevole, e poi presenta insieme ad Amadeus un pezzo di Max Pezzali eseguito da Joe Evan sempre vestito da Pinocchio ma più ridicolo di lui che almeno di legno era tutto, non solo il cervello. Il brano s’intitola “Gli anni”. Già i pezzi di Pezzali sono uno più brutto dell’altro (implicitamente, nel presentarlo, lo dice lo stesso Amadeus), ma eseguiti da questo tizio grottesco raggiungono il vertice dell’insopportabile. Voto 1, ancora una volta sopra lo zero solo perché per quanto scadente possa essere la musica di Pezzali, comunque non è scadente come i rap di Jovanotti.

Parte la pubblicità e io rifletto sul fatto che è molto evidente quanto pesi il pregiudizio sulle mie valutazioni di canzoni e cantanti: cresciuto come sono con i 78 giri di mio padre che ascoltava Donizetti, Verdi, Puccini, Rossini e Ponchielli; innamorato poi, durante l’adolescenza, di Beatles, Equipe 84, Beach Boys, Dylan, Rolling Stones, Eagles, Nomadi e Camaleonti; in seguito appassionato di Deep Purple, Pink Floyd, Jethro Tull e Led Zeppelin mentre su un altro versante musicale mi innamoravo di Sinatra, Bennet, Aznavour, Becaud, Montant e Dean Martin e su un altro ancora di Mozart, Beethoven, Scarlatti, Haydn, Bach, Haendel, Vivaldi; come posso non dico apprezzare, ma anche soltanto capire un mondo musicale così distante dai parametri ai quali sono avvezzo, parametri che prevedono che nella musica ci siano – ci debbano essere – oltre al ritmo e a un eventuale testo anche melodie e armonie?

Con poche eccezioni, sia durante le serate iniziali che in questa, la rassegna sanremese quest’anno propone quasi esclusivamente rap, o simil-rap, in cui domina l’elemento ritmo al quale si sovrappone un concitato recitare di facili rime, intervallate qua e là di ammiccanti parolacce; l’orchestra accompagna per lo più con note lunghe degli archi, perché più di tanto non può fare in assenza di una melodia e nell’impossibilità di una qualunque elaborazione armonica che vada al di là dei soliti accordi di tonica – dominante –  sottodominante.

Ammetto la sconfitta: sono io, non sono loro. Sono io ad essere fuori, più fuori di un balcone, di un lampione e di un marciapiede messi insieme.

La cellulina dell’acqua Lete sale su una Suzuki e si siede su un divano della Poltrone&Sofà mentre una ragazza sorride felice perché ha l’assorbente con le alette (gli assorbenti, evidentemente, si mettono sulla bocca) o forse perché ha risolto il tragico problema esistenziale delle doppie punte ai capelli, come conferma Federica Pellegrini; intanto il marito cucina non so che cubetti di pancetta e il figlio esce da una scatola che poi si scopre essere una casetta che bisogna scoprire quanto vale; Amadeus mi assicura ballando insieme a una famiglia rincoglionita che con le tariffe Tim potrò avere giga a volontà e sarò felice per tutto il resto della mia vita e poi un Suv parte per un’avventura nel deserto, tra i canyon delle montagne rocciose e fra i ghiacci del Polo (paesaggi tipici del territorio italiano) con la cellulina dell’acqua Lete al volante e l’artigiano romagnolo della Poltrone&Sofà seduto vicino: bisogna sbrigarsi, perché l’offerta svuota-tutto-50-per-cento-di-sconto-più un-ulteriore-40-per-cento-prendi-oggi-paghi-fra-sei-mesi- tutto-in-comode-rate-salvo-approvazione-della-finanziaria scade domenica, chissà che si inventeranno lunedì.

All’una di notte mi sveglia un trillo del cellulare: mia cognata, scrittrice colta e raffinata, acuta intellettuale, autrice di libri intensi e profondissimi, chissà perché stasera segue il festival (non lo fa da anni: colpa mia e dei miei articoli? Mi sento un po’ in colpa) e con un messaggio mi dice che Annalisa non le dispiace; mi rendo conto di essermi addormentato e di non aver potuto ascoltare Annalisa. A mia cognata risponderò domani.

Adesso, infreddolito e carico di sonno, oltre che di odio verso la cellulina dell’acqua Lete, spengo il televisore e – al diavolo il festival – me ne vado a letto.

Giuseppe Riccardo Festa

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