Ritrovarsi dopo cinquant’anni. Dedicato a tutte le Quinte C d’Italia, e ad una in particolare.

Cinquant’anni!

Ci si ritrova, a cinquant’anni esatti dal diploma: le ragazze e i ragazzi della mitica Quinta C dell’ITC Gentili di Macerata; ma potrebbe essere la Quinta A, o B, o Z, di Bolzano, o Matera o Cosenza: gli studenti hanno sempre vent’anni, anche quando ne hanno di più canta una vecchia canzone goliardica. E non solo: gli studenti sono sempre gli stessi, ovunque, soprattutto quando finalmente si è superato l’incubo dell’esame di Stato e si pensa che, finalmente, sia finita.

E invece tutto sta per cominciare, tutto deve ancora succedere: l’università, il fidanzamento; e la patente, la Fiat 500 al posto del motorino, la voglia di stare soli con lei o lui in un certo angoletto, con lei che partecipa solo a metà perché ha paura che arrivi qualcuno e lui che ha gli ormoni a mille; e poi il lavoro, il matrimonio, i figli, forse il divorzio, forse un nuovo inizio; e qualche lutto, e qualcuno che si perde per strada.

Era il 1971. L’avventura dei Beatles si concludeva malinconicamente nei tribunali, Jim Morrison usciva dalla vita ed entrava nel mito in un hotel di Parigi, in Irlanda del Nord ci si ammazzava fra protestanti e cattolici, l’Apollo 15 andava e tornava dalla luna nell’indifferenza generale, Nixon svalutava il dollaro abbandonando gli accordi di Bretton Woods, i Pink Floyd registravano uno straordinario live a Pompei, la Cina Popolare entrava all’ONU al posto di Taiwan, India e Pakistan si facevano la guerra.

I ragazzi della Quinta C a queste notizie badavano con un occhio e un orecchio solo, più attenti magari a quelle che riguardavano i Beatles, Jim Morrison e i Pink Floyd, ma meno alle cattive notizie di politica e di economia: festeggiavano l’agognato diploma, esattamente come i ragazzi tutte le Quinte d’Italia quando è finito l’incubo dell’esame di Stato.

Chi erano quei ragazzi? Esattamente come in tutte le Quinte d’Italia fra loro c’erano i maschi burloni, di solito ripetenti: quelli che in secondo sghignazzavano, quando il prof. di computisteria parlava di verghe, fra lo stupore delle ingenue compagne di classe; c’erano una Mirella, una Celestina e un Peppino, i più bravi della classe, forse un po’ secchioni; e c’era un Giuliano, il trascinatore generoso che con la chitarra suonava e cantava di tutto, da I Gufi a Jimi Hendrix passando per Fabrizio de Andrè; c’era un Vincenzo, coccolato dalla prof. di Italiano che definiva il suo stile, nei temi, “alla Indro”; c’era un’Anna, che cantava ed era innamorata di Paul McCartney; un Francesco, quello che aveva da ridire su tutto, perfino sul teorema di Pitagora, senza che nessuno gli desse retta ma che non perdeva mai il sorriso e l’ironia; e in ogni Quinta c’era un Gianni, il sessantottino riccio, capellone e contestatore, quello che aveva composto un compito in classe di italiano servendosi solo di versi di canzonette; e c’era la Marinella, goffa, cicciottella e impacciata fino al terzo e poi trasformatasi, quasi da un giorno all’altro, in una moretta snella e graziosa. E non poteva mancare un Attilio, detto “Attilio de Saint Claud” (cioè di San Claudio, frazione della vicina Corridonia), per il quale veniva prima di tutto la squadra locale di calcio, e solo dopo la ragioneria e le altre materie. Attilio de Saint Claud era orgoglioso della sua Fiat 1100 nera con le bombole di metano sul tettuccio (era ripetente, la patente lui ce l’aveva già).

C’erano, nelle Quinte, anche una Patrizia e una Silvana, e un Giuliano, un Peppino e un Paolo, che un destino crudele avrebbe sottratto anzitempo alla vita. Ma allora non si sapeva: allora tutto doveva ancora accadere.

Ed eccoli, cinquant’anni dopo, quando tutto ormai è accaduto, per ritrovarsi, raccontarsi, riconoscersi. E al diavolo il Covid, anche per abbracciarsi, tanto siamo tutti vaccinati, mica siamo scemi come i no-vax: noi eravamo i ragazzi della mitica Quinta C!

Attilio di Saint Claud ora è in pensione e si diverte a produrre vino cotto, che imbottiglia e regala agli amici. Qualcuno mostra orgoglioso le foto dei nipotini, tanto numerosi da poter fare una squadra di calcio; c’è chi si vanta dei figli che hanno successo all’estero ma rimpiange di non averne, lui, di nipotini. Qualcun altro, come Giulio, conserva la sua aria da bohémien, non mancano le ragazze che anche se mature si conservano niente male; qualcuno non è potuto venire ma ha mandato un messaggio.

E, al diavolo il mezzo secolo che è trascorso, i capelli grigi o i crani pelati, le pance, le rughe e gli acciacchi: si scopre che in fondo siamo ancora gli stessi. È bello chiamarsi per nome, rievocare certi aneddoti, sorridersi, sedersi a tavola e toccare i calici per bere alla nostra salute.

È bello pensare che in fondo, in tutta Italia, le Quinte di ogni tempo sono tutte così, come questa Quinta C dell’ITC Gentili che si è diplomata nel 1971: ben assortite, unite e solidali, perché i valori che ci uniscono da ragazzi sono sempre gli stessi, primo fra tutti quello dell’amicizia.

E così ci si ritrova, dopo tutti questi anni, come se il tempo non fosse mai passato: vecchi? Ma neanche per sogno! Solo diversamente giovani.

Giuseppe Riccardo Festa (con l’aiuto di Giulio Ciccola)

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