Chiara e Alessandra e il Dono del Passato

Era un lunedì sera di pieno autunno

Amicizia

Era un lunedì sera di pieno autunno. Si sapeva che la città in quel giorno era deserta. Il weekend era appena passato e c’era da recuperare le forze.

Le ventuno erano passate da qualche minuto e le strade che sino a quel momento brulicavano di gente, e di tanti giovani, si presentavano vuote. Il rumore dei passi di chi camminava era ben scandito come lungo un solco.

Il freddo era arrivato. Eppure tanto. Tutto all’improvviso. Spezzando completamente il caldo anomalo che si era protratto sino a metà di ottobre. Al punto che qualcuno aveva pensato a chi sa quale evento catastrofico sarebbe dovuto accadere da lì a qualche giorno. Voci irrequiete di persone a braccetto con un mondo oramai strano e che ne formula una al secondo.

Chiara aveva consumato le sue scelte. Sposata e poi separata. Nuovamente rifidanzata con Angelo, ma da alcuni mesi nuovamente una donna libera, ma molto sola che accarezzava non sempre ben volentieri la sua solitudine.

Non era riuscita a mettere su famiglia. Ad avere dei bambini come tante sue coetanee. Ma questo ormai faceva parte del suo passato. Triste e gioioso nello stesso tempo. Di cui a volte si amareggiava.

Lei i fine settimana li trascorreva barricata in casa. Preferiva riposarsi da un lavoro stancante e poco soddisfacente. Che svolgeva nell’apatia più ampia. L’unico vantaggio era lo stipendio che la sosteneva.

Dopo le delusioni delle sue varie storie amorose non aveva più voglia di intraprenderne delle nuove, consapevole che gli uomini la soffrivano per il suo carattere acerbo e poco socievole.

Per le stesse ragioni non aveva tante amicizie. Le sue si contavano sulle punta delle dita. Tutti amici e amiche sposate che avevano ben poco in comune con lei e con la vita che aveva condotto sino a quel momento.

C’erano però anche delle sue colpe. Non riusciva a coltivare legami duraturi. Molto volte li spezzava senza rendersi conto e senza avere dei motivi seri alla base.

Il lunedì per lei significava scendere di casa e fare quattro passi nell’isola pedonale. Non aveva molte aspettative. Le bastava cambiare aria rispetto ai soliti e abituali ritmi casa/lavoro. Ricercava in quei passi solitari esclusivamente alcuni spunti per ritemprare la propria mente.

Dopo un breve passeggiata in centro dove non incontrava mai nessuno di già conosciuto era solita cenare in una piccola osteria centenaria del quartiere collinare. Un luogo magico che inavvertitamente la rasserenava per il clima tranquillo che si respirava. Dove nessuno le rivolgeva la parola se non per cosa volesse mangiare. Un copione che si replicava da molti anni.

Pochi coperti e una gestione prettamente familiare che la diceva lunga a differenza su una serie di locali in zona che anche di lunedì si presentavano pieni di persone. A fare che non si immaginava.

Ma quella sera volle cambiare. Non c’era un motivo preciso. Forse era alla ricerca di qualcosa che desse una scossa a una vita piatta e senza emozioni. Da cui spesso pensava di allontanarsi. Futili pensieri che poi si assopivano, prevalendo la solita paura di incamminarsi lungo nuove strade non più gradite.

In fondo era diventata una persona sola. Eppure aveva da poco superato la soglia dei cinquant’anni e il suo aspetto fisico era gradevole. Ma non riusciva più a stabilire legami che le dessero una voglia di affrontare nuove emozioni e esperienze anche solo amicali. Giusto per non restare chiusa da sola nelle sue quattro mura di un appartamentino poco meno di 40 mq.

Ruppe il ghiaccio. Entrò in uno di quei luoghi alla moda. Dove si prendeva un aperitivo e si scambiavano delle chiacchiere tra amici. Sentendo un po’ di musica in sottofondo.

Entrò un pò timorosa. Non sapendo cosa l’aspettasse. Era titubante pensando a quale rischio andava incontro, essendo non in compagnia e per giunta una donna di mezza età. Il dubbio l’assalì. Ma quel giorno volle rompere con ogni schema. Sentiva di volersi liberare da quella quotidianità che le pesava anche se non era del tutto consapevole.

Scelse quel luogo a caso. Molte volte di lunedì era passata da lì, ma mai era riuscita a capire l’età delle persone che lo frequentassero. La colpì l’insegna di quel locale che era di un colore rosso vivo. Si immaginò vedendola che fosse per il vino rosso. Intenso, vivace e corposo. Tra i suoi preferiti.

Sulla porta c’era un avvenente ragazza. Di quelle che fanno da vetrina per i giovani ragazzi. Che a volte vengono attirate da donne immagini per il solo gusto di guardarle e rivolgerle qualche parola per soli pochi attimi. Donne che vendono il loro corpo pur di attirare clienti. Un’abitudine non proprio bella.

Chiara la salutò e con piglio deciso varco la soglia d’ingresso. Quasi a non riconoscerne il ruolo. Volle apparire in fondo quello che non era. Sicura di se. Pronta a sfidare un contesto a lei non certo familiare, su cui si affacciava ignara e diffidente.

All’interno c’era un atmosfera soffusa. Quasi non si riconoscevano le persone e i tavolini. Fece a cazzotti con il suo imbarazzo. Si sforzò ad apparire la più naturale possibile, ma purtroppo la sua espressione la tradiva.

Mentre stava per decidere dove accomodarsi, da un punto lontano della sala sentì una voce. Forte e diretta.

“Chiara … vieni sono qui”.

Quel suono la pietrificò. Subito pensò a malincuore che qualcuno l’avesse riconosciuta. Ma chi mai fosse? Laddove l’avesse minimamente pensato mai sarebbe entrata in quel locale.

Tanto più non era particolarmente predisposta a riconoscere immediatamente qualcuno. Avrebbe voluto prima ambientarsi. Capire chi ci fosse. E poi eventualmente aprirsi. Avrebbe voluto padroneggiare meglio quei primi istanti. Tutti ragionamenti che le passarono come un lampo per la mente.

Dopo pochi secondi da quella frase non potette fare a meno di alzare lo sguardo e capire chi la chiamasse. Non volle apparire scortese. Il suo fu un passaggio obbligato. Rassegnato verso qualcosa cui non aveva alcuna intenzione di imbattersi.

Mentre pensò tutto questo le comparve davanti una figura femminile alta, imponente ed elegante. L’età era suppergiù la sua.

Non aveva memoria di quella persona. Per lei era una sconosciuta. Gli occhi azzurri e i capelli biondi non le dissero nulla.

“Chiara, ma non mi hai riconosciuta?” Fu messa davanti al fatto compiuto. Non ebbe molte altre strade. Non poté fingere. Cercò di rubare dei secondi per riuscire a capire. Risalire con la mente a quel viso. Ma non potette fare a meno di rispondere.

“Scusami tanto. Ma non mi ricordo. La giornata poi é stata molto intensa. Sono stanchissima. Sono entrata di fretta e furia a prendermi un aperitivo. E poi rientrare a casa. Sono esausta”.

“Sono di passaggio in città” le rispose la persona. “Avevo pensato di chiamarti, ma non sapevo se ti avesse fatto piacere. Poi la vita é una grande combinazione. E ti ho incontrata. Che gioia immensa che mi stai regalando”.

“Sono Alessandra”.

Chiara appena sentì quel nome l’abbracciò. Aveva capito chi fosse. Immediatamente la mente tornò alla sua adolescenza. Il suo essere bambina nel palazzo dei suoi genitori. Il cortile. I giochi da mamma e figlia. Le bambole. Ai compiti di scuola fatti insieme.

Erano della stessa età. Differivano di pochi mesi. Non uguali nel carattere. Erano praticamente cresciute insieme. Le loro mamme erano molto amiche, ma si erano perse di vista da un bel pò di anni. Forse più di quaranta.

Decisero di sedersi e di continuare a raccontarsi. Avevano tanto da parlarsi. Bastò poco perché la loro familiarità emergesse forte e chiara.

Il vino rosso fuoco contribuì a quel tuffo di ricordi vivi e attuali. Come se mai si fossero volatizzati. Indelebili. Chiusi in un cassetto che solo quell’incontro inaspettato avrebbe potuto rilevare.

La polvere di quel loro rapporto ormai andato scomparì in un battibaleno. Ripercossero le tappe della loro amicizia. Le loro prime avventure amorose come anche l’impatto in esse del loro diventare donne. Non riuscirono a fermare quel fiume in piena di notizie e informazioni. Soffocarono quasi nelle parole che si rivolsero.

Entrambe capirono che erano restate sole. Le loro storie erano andate a monte. Erano in modo disarmante uguali e deboli. Avevano compiuto gli stessi errori e fatto le identiche tappe. Seppure non si vedevano da tempo.

Come era stato possibile tutto questo? E perché?

Quella cosa le meravigliò tanto. Non credevano di aver fatto una vita simile. Fondata su un passato che aveva segnato e formato i loro caratteri. Le loro emozioni e sentimenti.

Insomma, la loro base comune adolescenziale le aveva formate allo stesso modo. E una volta fuori dal guscio del loro legame avevano fatto lo stesso percorso.

Quegli attimi corsero veloci. Capirono che si erano perse. La vita inevitabilmente é scandita da fermi e ripartenze di ogni genere. E loro erano state protagoniste e vittime di quello che si dice il bello dell’esistenza. Lontano da modelli e schemi che ovattano la stessa, limitando le dolci ebbrezze del non scandito.

Una vita non sempre uguale e, altresì, pronta a convivere con gioie e dolori. Come sono quei legami forti che poi si perdono senza che mai nessuno può ritenersi di stare dal lato della ragione o prendersi delle colpe che non sono mai tutte sue.

Forse é proprio così che funziona l’amicizia. Che é d’altronde la cosa più preziosa da regalarsi. Un dono che a volte ha un suo preciso percorso, ma tante altre volte lo stesso si rileva non sempre simile a tutti.

L’amicizia non va sciupata. Non é una sciocchezza. Risentirsi é inutile. Non serve. Essa é un regalo di cui andare fieri e orgogliosi.

Chiara e Alessandra, almeno si spera, dopo quella serata lo compresero. E ciò confortò le loro anime, accompagnandole con la magia del passato e sollevandole dalla noia di un futuro a tinte fosche.

Scrivere é anche affrontare questa realtà, farla diventare un gesto come quello dell’incontro tra due vecchie amiche in una fredda sera d’autunno.

Nicola Campoli

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