Si sono chiusi per sempre gli occhi dello “Stupor mundi” azzurro. L’underdog di tutti gli underdog, venuto da Messina e arrivato fino al tetto del mondo. È morto Salvatore Schillaci detto Totò, indimenticabile.
Era un’estate strana, l’ultima prima di un brusco risveglio per tutti. La notte di un’assurda semifinale, incomprensibilmente giocata nell’ allora San Paolo di Napoli proprio contro l’Argentina di Diego. Fu soprattutto la fine di un’illusione, domestica come globale, forse non si capì sul momento ma la ricreazione era finita e l’uscita avventata di uno dei migliori portieri del mondo, punita da uno dei calciatori più bassi del torneo, lo segnalò.
Certo, sono suggestioni, leggende miste ad ipotesi giocose: la favola che si mescola con la realtà. Qualche volta è vero, altre volte no. Tuttavia, al pari del grande Gino Bartali che vincendo il Tour, secondo narrazione, evitò un’improbabile guerra civile italiana dopo l’attentato a Palmiro Togliatti o ancora il Mondiale vinto nel 1982, che trascinò il paese fuori dagli anni di piombo e dalla strategia della tensione, quel pareggio Caniggia a modo suo fotografò il passaggio da un’Italia quinta potenza mondiale e proiettata tra i grandi del pianeta all’ Italia di oggi. Insomma, nel giro di un’estate si passò dall’ essere protetti dalla culla fino alla tomba al doversi arrangiare da soli. Non sarà un passo facile, per nulla, anzi a tratti traumatico. Non a caso di lì a poco il mondo e la storia cambieranno per sempre: dopo il crollo del muro di Berlino collasserà anche l’Unione Sovietica. Quel rassicurante mondo diviso in due blocchi contrapposti e la nazionale del CCCP giocheranno il loro ultimo Mundial, in quell’anno fatidico. Gli albori di nuova era, quella che viviamo ancora adesso.
Ma in quell’ estate fa, bellissima e caldissima, Salvatore da Messina stupì sé stesso, l’Italia e il mondo, riscattandosi da una vita e una carriera cristallizzate, quasi stabilite a priori da gregario certo. Le cose in quell’ indimenticabile stagione andarono diversamente. Complice anche un vaffa di Andrea Carnevale, dimenticabile attaccante di Udinese, Napoli e Roma, rivolto al C.T. azzurro Azeglio Vicini durante l’esordio casalingo con l’Austria, in campo entrò un piccolo calimero d’azzurro vestito che sbloccò immediatamente una partita dominata sì dagli azzurri ma che si stava complicando contro avversari abbordabili. L’ attimo fu colto (il kairos appunto), il tempo sentenziò e Totò entrò di diritto nella storia del calcio italiano.
Iniziarono quel 9 giugno del 1990 le notti che tutti ricordiamo come magiche: un mondiale strepitoso di una bella nazionale inferiore, a parere di chi scrive ma anche di molti appassionati di calcio, solo al prologo meraviglioso quanto sbarazzino nella cupa Argentina del ’78 e all’ apoteosi spagnola del 1982, entrambe firmate Bearzot. Sulle note del binomio Nannini Bennato, non a caso rispettivamente interpreti della lingua più sofisticata al mondo, quel fiorentino divenuto italiano nella sua forma standardizzata e quella più adatta al bel canto come è il napoletano, Schillaci da pulcino nero si trasformò in un cigno. Il riscatto sociale, sportivo e persino esistenziale era compiuto e in un’estate italiana, come cantavano la ribelle senese e il “Peter Pan” napoletano, Totò sarà il capocannoniere con 6 gol.
Da buon underdog porterà l’Italia a un passo dal sogno di un Mondiale vinto in casa. Arrivammo terzi, grazie alla vittoria in un’edificante finalina con gli inglesi, a causa di una sciagurata semifinale persa ai rigori contro l’Argentina; dove fecero la storia del calcio il celeberrimo “Hijos de puta” di Maradona per i fischi in quello stesso stadio che tanti anni dopo avrebbe preso il suo nome e appunto l’avventata uscita di Walter Zenga.
Finì così, dunque, Schillaci non riuscì a vincere quel mondiale e per la verità cadde anche nell’ oblio dal quale era sorprendentemente uscito durante quei Mondiali: ancora qualche anno alla Juventus, senza infamia e senza lode, poi un passaggio assai dimenticabile all’ Inter verso il tramonto della carriera. Infine qualche partecipazione ad alcuni reality nel mondo nuovo e persino la comparsa di un questionabile parrucchino sulla testa.
La storia insomma si concluse come era cominciata: una vita da gregario senza neppure più palloni da recuperare. Eppure, nel giorno della dipartita finale, nessuno potrà mai dimenticare quello sguardo un po’ così, stupito da ciò che stava accadendo in campo e il calcio sapeva ancora una volta regalare, in quella incredibile estate di tanti anni fa, che cambiò per sempre i destini dell’Italia, del mondo e soprattutto di un ragazzino siciliano solo apparentemente senza alcuna speranza.
Marco Toccafondi Barni
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