Più PIL per tutti (speriamo)

Partiamo, miei amatissimi ventiquattro lettori, da un dato di fatto: il PIL, nella prima metà di quest’anno, è effettivamente cresciuto, è cresciuto oltre le attese, e la sua crescita è un fatto positivo. A dispetto di tanti commentatori che sono passati direttamente dalla discrezione del bar sotto casa al clamore dei social network, l’ISTAT non si può permettere di falsificare i dati, che sono sottoposti al vaglio di una miriade di enti, nazionali e soprattutto internazionali, dall’occhiuta Commissione Europea alla BCE alla Banca Mondiale, al FMI: sui dati che pubblica si fondano anche le possibilità di essere più o meno prodighi in sede di legge di stabilità. Dunque, bisogna mettersi il cuore in pace: se l’ISTAT dice che c’è crescita, vuol dire che effettivamente la crescita c’è.

È inutile il clamore delle opposizioni. La senatrice Lezzi, il cui coraggio non teme neppure il ridicolo, afferma che la crescita del PIL fino a giugno, con un curioso effetto reatroattivo, è dovuta al caldo di agosto; altri puntano il dito sulla disoccupazione giovanile, altri ancora – quelli del bar sotto casa – dicono perentori “io questa crescita non l’ho vista, perciò non c’è”.

Ma altrettanto inopportuno è il trionfalismo di certi esponenti della maggioranza. Va detto, a loro merito, che sia il premier Gentiloni che il ministro dell’Economia Padoan si sono mostrati moderatamente contenti ma non soddisfatti; e la loro prudenza è del tutto legittima, oltre che doverosa. Entrambi infatti sanno benissimo quanto fragile, pur se si sta consolidando, è questa crescita, che come tutte le crescite della nostra economia, dagli anni ’70 del secolo scorso in poi, è quella di un’economia a rimorchio.

Cosa vuol dire “economia a rimorchio”? Vuol dire che, diversamente ad esempio da quella tedesca, che ha una forte industria, forti consumi interni, un’elevata propensione agli investimenti e soprattutto una forte spinta innovativa, tutti elementi che ne fanno, come si suol dire, “la locomotiva dell’Europa”, da noi tutto questo manca. I nostri imprenditori non investono, la ricerca langue, i consumi ristagnano, l’innovazione non esiste. Viviamo di esportazioni, ma esportiamo per lo più prodotti a basso valore aggiunto, per molti dei quali ci hanno soppiantato Cina, India, Romania, Bangladesh eccetera. Un esempio per tutti, il settore tessile: per decenni abbiamo esportato abbigliamento a basso prezzo, ma quando quegli stessi prodotti hanno cominciato a produrli, a costi infinitamente inferiori, quei Paesi (magari da stabilimenti delocalizzati da imprenditori italiani), quel settore da noi è crollato. Microelettronica, meccanica di precisione, informatica, telefonia mobile, da noi non esistono; anche le nostre automobili, a parità di prezzo, sono di qualità inferiore a quella dei modelli tedeschi, giapponesi o francesi; e comunque anche questo settore sta sparendo dal nostro panorama industriale.

Dunque, se io fossi un esponente dell’opposizione lamenterei proprio questi mali, cui si aggiungono il famoso – o famigerato – debito pubblico che ci porta ad avere una pressione fiscale abnorme, la burocrazia asfissiante, la cronica inefficienza dell’amministrazione pubblica, la corruzione, e la scadente qualità dei trasporti, soprattutto al Sud, dove spostarsi in treno, per viaggiatori e merci, è più che altro una scommessa.

Ma le opposizioni, vuoi per ignoranza (vero, senatrice Lezzi?), vuoi per la sindrome della coda di paglia (in vent’anni il berlusconismo e il leghismo non hanno modificato di una virgola lo stato delle cose, o se mai lo hanno peggiorato), non sanno o non vogliono puntare il dito contro questi mali atavici del nostro costume, oltre che della nostra economia.

La nostra economia sta salendo, dunque, ma al traino delle altre economie, soprattutto quelle europee, che salgono molto di più: perché da noi è così che funziona: se gli altri corrono, noi camminiamo; ma se gli altri si fermano, noi precipitiamo.

Speriamo solo che gli altri continuino a correre. Piuttosto che niente, meglio piuttosto.

Giuseppe Riccardo Festa

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