Perché sono favorevole alla legalizzazione della cannabis

Prima di tutto tengo a precisare che non ho mai aspirato da uno spinello o da una “canna”: non ho idea, e non ho nessuna intenzione di averla, dell’effetto che fa; ho perfino smesso di fumare, oramai da una ventina d’anni. Non è dunque per poterne fruire personalmente che mi dichiaro favorevole alla legalizzazione dell’uso della cannabis.

Perché, dunque? Per il semplice motivo che il proibizionismo non influisce in nulla sull’effettivo utilizzo della cannabis da parte dei suoi estimatori, e dunque fallisce il suo obiettivo primario, ma in compenso fa un enorme regalo alle mafie che ne governano la produzione e il commercio illegali.

Le motivazioni dei proibizionisti, messe di fronte alla realtà dei fatti, cadono come un castello di carte mal assemblato. La prima, e secondo loro la più cogente, è che le droghe leggere sono l’anticamera di quelle pesanti. Vero; ma anche la prima sigaretta apre la via al tabagismo e il primo bicchiere di vino all’alcolismo: non per questo si innalzano barricate per vietare la vendita di sigarette e alcolici.

Chi con l’alcol ci ha provato, ad esempio gli Stati Uniti negli anni dal 1920 al 1933, sulla spinta di un moralismo paternalistico ben poco degno di una democrazia avanzata, ha poi dovuto fare marcia indietro di fronte all’ondata di criminalità che quella stupida legge aveva provocato: Al Capone non sarebbe stato Al Capone, senza il regalo straordinario del Volstead Act.

Anche l’obiezione di stampo morale, o meglio moralistico, ha i piedi d’argilla: lo Stato, dicono, non può farsi spacciatore di droghe. Eppure lo Stato spaccia senza problemi, incassando anzi consistenti accise, miliardi di stecche di sigarette e milioni di ettolitri di alcolici e superalcolici: perché questi sì e la cannabis no?

La realtà dei fatti è sotto gli occhi di tutti: come con l’alcol negli USA negli anni ’20 del secolo scorso, anche in Italia (ma non solo in Italia) al giorno d’oggi il proibizionismo sulle droghe leggere ha il solo effetto di abbandonare nelle mani della criminalità un mercato imponente, fonte di profitti enormi sul quale peraltro getta un prodotto di qualità non controllata e non controllabile.

Per quanto indubbiamente nocivi, tabacchi e alcolici venduti sotto il controllo governativo sono sottoposti a controlli di qualità che, pur se non li eliminano, almeno limitano i danni che essi producono in chi li utilizza; e i proventi di questi commerci, anziché gonfiare le tasche dei mafiosi contribuiscono, sia pure indirettamente, a curare chi del loro utilizzo subisce i danni. Lo stesso accadrebbe con la cannabis, se lo Stato ne regolamentasse e controllasse il commercio; enormi risparmi, inoltre, sarebbero conseguiti con la cessazione della lotta al mercato clandestino: le Forze dell’Ordine potrebbero dedicarsi ad attività ben più costruttive e utili, per la sicurezza dei cittadini, se cessasse il gioco a rimpiattino con i coltivatori, i manipolatori e gli spacciatori illegali di cannabis.

Peraltro, è arcinoto che la guerra alla cannabis fu iniziata, negli USA, dai grandi produttori di tabacchi, che mal sopportavano la concorrenza di una droga leggera diversa, non più nociva e più a buon mercato di quella che spacciavano loro.

Dunque bando ai moralismi fuori luogo: lo Stato non può né deve ergersi a censore dei comportamenti dei cittadini. Una canna non è più nociva alla salute di un bicchiere di vino o di una sigaretta dopo un buon caffè. È l’abuso, non l’uso  che va punito, quando esso reca danno a cose e soprattutto a persone diverse da chi nell’abuso incorre: dunque è giusto sanzionare la guida in stato di ebbrezza o di alterazione da psicofarmaci; ma non mi risulta che una canna induca stati di alterazione mentale capaci di provocare comportamenti criminali, non più di quanto lo faccia un pacchetto di Marlboro.

I proibizionisti cadono nel vizio tipico di chi si rifiuta di considerare i cittadini come adulti senzienti e responsabili ostinandosi, viceversa, a trattarli come eterni bambini da guidare ad ogni passo. Un vizio che appartiene ai regimi autocratici, tirannici e teocratici. Ma l’Italia è una repubblica democratica e gli italiani, a dispetto di ciò che sembrano pensare certi personaggi della sua classe politica, non a caso tutti esponenti della destra, sono evoluti, maturi e civili. Lo hanno dimostrato bocciando il referendum per l’abolizione del divorzio, difendendo con un altro referendum la proprietà pubblica delle acque e rifiutando, col voto ad altri referendum, il ricorso alla fissione nucleare per produrre energia elettrica.

Continuano a dimostrarlo firmando in massa la proposta di legge per la libertà di scelta in materia di eutanasia ed ora con la nuova proposta di referendum riguardante la legalizzazione dell’uso della cannabis.

Sarà il caso che quei politici, una buona volta, la smettano di umiliarli e di calpestare la loro dignità trattandoli come dodicenni cui dire cosa possono o non possono fare.

Giuseppe Riccardo Festa

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