Per favore solidarietà e discrezione, non soltanto reportage

A me e alla mia famiglia, a parte qualche soprammobile in frantumi, è andata bene: spavento e un frustrante senso di impotenza sono l’unico bilancio della scossa di terremoto più lunga e intensa di cui ho memoria; e sì che ne ho subite tante, da quando vivo nelle Marche.

Appena è finita mi sono fiondato al computer per sapere dov’era l’epicentro, quale l’intensità e le prime notizie sui danni; e così ha fatto tutta Italia, è normale. È anche normale, ed inevitabile, che tutte le reti televisive e radiofoniche, e tutti i giornali, spediscano i loro inviati sul posto: la gente vuole sapere, e il loro dovere è informare.

Bene, dunque, l’informazione, soprattutto quella di servizio: strade da lasciare libere per i soccorsi, numeri di telefono da contattare, centri di raccolta dei soccorsi, generi da offrire, conti correnti per le donazioni.

Solo che il troppo stroppia. Non so voi, miei affezionati ventiquattro lettori, ma di fronte alla valanga di continui aggiornamenti, dettagli, flash e ultim’ora prodotta da tutti i media in me subentra una crisi di rigetto. Mi diventa intollerabile la vista degli inviati alla spasmodica ricerca di qualche volto impolverato e di qualche soccorritore o sopravvissuto da intervistare, e trovo insopportabili gli operatori alla posta, in attesa di una vittima da filmare mentre viene estratta dalle macerie. Ne ho visto uno farsi sotto con un’enorme telecamera, a non più di una trentina di centimetri da una barella, mentre i Vigili del Fuoco portavano via un corpo, non so se di una vittima o di un sopravvissuto.

E poi diventa stucchevole la retorica dei commenti ripetitivi e delle sequenze in loop che mostrano la ruspa che avanza, il mucchio di macerie, la casa sventrata. Hai l’impressione che in certi villaggi ci siano più inviati che soccorritori; nasce la sensazione che la smania di fare notizia, legata al bisogno di attirare audience, prevalga sulla necessità di dare notizie; che ci sia nei media una sorta di sciacallaggio sul dolore non molto diverso da quello degli imprenditori che se la ridevano, dopo il terremoto de L’Aquila, pensando ai succosi appalti che avrebbero vinto.

Piango con e per i tanti che a causa del terremoto hanno perso tanto, spesso tutto; e prometto loro solidarietà e vicinanza non solo a parole ma – come stanno facendo tantissimi italiani – anche con gesti concreti. Fra questi includo l’astinenza dalle immagini e dai reportage della catastrofe: non sopporto il giornalismo che sfuma nella pornografia del sensazionalismo. Le vittime di questa sciagura hanno bisogno di partecipazione fattiva, rispetto e discrezione; non di morbosa e importuna invadenza.

Giuseppe Riccardo Festa

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