PER FAVORE, NON CHIAMATELA “MARTINA”

Alla fine succede sempre così: le vittime non se le ricorda nessuno e i carnefici diventano celebrità.Adesso è la volta della coppia milanese di sfregiatori con l’’acido: in particolare la Lovato, istigatrice e mandante e già condannata a quattordici anni per una delle violenze di cui è imputata.

Sui giornali leggiamo che la poverina soffre tanto perché le hanno tolto il “suo” neonato; e tanti sono pronti a commuoversi per la povera mamma alla quale hanno strappato il “suo” figlioletto dal seno. In TV vediamo spesso il suo avvocato, che con faccia addolorata e voce commossa parla dello strazio della povera mamma che non si dà pace per l’’ingiustizia di cui si sente vittima; dalla sua cella, intanto, il padre del pargolo, complice ed esecutore dei crimini della donna, reclama il diritto di vedere il “suo” bambino.

La Lovato, per tutti, non è l’’esaltata egotica e violenta che ha sfigurato con l’’acido tre persone, colpevoli solo di aver avuto la pessima idea di averla frequentata, e che questi atti li ha progettati, studiati e freddamente attuati: adesso è “Martina”. E i suoi genitori gridano ai quattro venti l’’ingiustizia di cui la “povera Martina” è vittima.

E le vittime vere? Nessuno sa chi siano, come si chiamano, quale sia il dramma che vivono da quando il vetriolo le ha sfigurate. Tutti sono lì pronti a versare lacrime per la “povera Martina” che piange perché vuole il “suo” bambino.

Ma il bambino non è “suo”. E non è nemmeno del suo compagno e complice. Il bambino appartiene a sé stesso, ed ha il diritto di crescere sereno, sano e per quanto possibile felice. Quale futuro lo aspetterebbe, se non si prendesse la saggia decisione di affidarlo ad una coppia di esseri umani, e non ai mostri che lo hanno generato? Anche se fosse affidato ai nonni la sua vita non sarebbe certo la migliore che si possa augurare a un bambino, che si vedrebbe portare, ogni tanto, a visitare la mamma e il papà entrambi in carcere.

Che storie gli racconterebbero? Come giustificherebbero la situazione in cui si trova lui e vivono loro? Quali traumi subirebbe? Fortuna che il PM (non a caso una donna) non si è lasciato intenerire. Il bambino deve essere reso adottabile, punto: non ci sono altre alternative, perché il suo equilibrio e il suo benessere hanno la priorità su qualsiasi altra considerazione.

Sarò cattivo, sarò malvagio, sarò quello che vi pare, ma io per “la povera Martina” non provo nemmeno l’’ombra dell’’idea dell’’ipotesi di una sia pur larvata compassione. Sarebbe dunque ora che i giornali la smettessero con questo gioco perverso: quella donna non è “la povera Martina”: è Lovato Martina, condannata a quattordici anni per violenza su innocenti e in attesa di altri due processi per altri reati della stessa natura, per i quali sarà sicuramente condannata. È un essere violento e malvagio che ha fatto un figlio con un altro essere violento e malvagio.

Togliamo il germoglio dalla pianta malata, se non vogliamo che si ammali anche lui o, peggio, che sia inaridito e distrutto; o peggio ancora che sia avvelenato, anche lui, proprio dalla pianta che l’’ha generato.

Giuseppe Riccardo Festa

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