■Antonio Loiacono
Il ministero della Cultura, negli ultimi tempi, sembra essersi trasformato in una tragicommedia degna del miglior Shakespeare, con tanto di complotti di corte, amanti segreti, e duelli all’ultimo…decreto!
La vicenda che ha portato alle dimissioni del ministro Gennaro Sangiuliano – una storia d’amore, potere e imbarazzanti email – si sta espandendo come un fastidioso malanno invernale, coinvolgendo anche chi, fino a ieri, pensava di essere al sicuro dietro una scrivania.
Al centro del caos, manco a dirlo, la sua relazione con Maria Rosaria Boccia, imprenditrice campana, che ha aperto il vaso di Pandora del Ministero dei Beni Culturali. Da lì, ne sono uscite nomine bizzarre, favori tra amici, ed un cast di personaggi che sembra preso da una soap opera sudamericana, più che da un organigramma ministeriale. A cominciare da Sergio Castellitto, piazzato al Centro Sperimentale di Cinematografia su gentile suggerimento di Pupi Avati. Castellitto si è ritrovato, improvvisamente, a dirigere una delle istituzioni cinematografiche più importanti del Paese, senza forse nemmeno sapere dove si trovasse esattamente la sala mensa.
Ma la vera pièce teatrale si svolgeva dietro le quinte, con Giorgia Meloni in qualità di regista non troppo occulta. Quando ha imposto il povero Gennarino – che, a quanto pare, è affidabile quanto un cucciolo che ti segue ovunque – come ministro della Cultura, non tutti hanno battuto le mani. Anzi, il sottosegretario Fazzolari, scettico quanto un topo davanti ad una trappola per topi, ha espresso dubbi sulla scelta. “Tarzan”, come veniva soprannominato Sangiuliano per le sue avventure politiche da una liana all’altra, doveva occuparsi di un dicastero che gestisce la gran parte dei beni artistici del pianeta. E quale miglior strategia se non fidarsi di un uomo che ha fatto il salto della “quaglia” da ben nove partiti politici?
E così, tra una nomina e l’altra, la tragicommedia ha preso forma. Alessandro Giuli al Maxxi e Pietrangelo Buttafuoco alla Biennale sembrano mosse fatte più per evitare guai che per risolverli. Ma il vero colpo di scena arriva con Narda Frisoni, ex ufficio stampa della Lega, che dall’anonimato della Lombardia è finita sotto i riflettori del Ministero della Cultura come capo della segreteria tecnica. Diciamo la verità: la rapidità con cui è riuscita a scalare le gerarchie è degna di un record olimpico. Narda, da addetta al telefono a protettrice degli spostamenti del ministro, è diventata l’oggetto di sguardi perplessi e battute nei corridoi del ministero. La domanda che serpeggia è: come ha fatto una ragazza di Bellaria (con tanto di rispetto per la città emiliano-romagnola) ad ottenere un ruolo così importante?
Ma non temete: nella tragicommedia, ogni mistero ha la sua spiegazione. Si vocifera che il suo arrivo a Palazzo sia stato facilitato da conoscenze altolocate, con il buon Giancarlo Giorgetti che avrebbe caldeggiato la sua nomina. Nel frattempo, però, tra biglietti aerei e mail compromettenti, la sua figura emerge sempre di più come la protagonista di questa farsa politica. Il suo volto splendente alla Mostra del Cinema di Venezia, insieme a icone come Beatrice Venezi e Marvi De Angelis, non ha fatto che alimentare i sospetti.
E mentre “Genny Delon” si ritira dalla scena come un attore stanco che ha sbagliato tutte le sue battute, la storia va avanti. Il futuro di Narda, e degli altri collaboratori caduti sotto i colpi del “caso Boccia”, rimane in bilico, ma lei, la Frisoni, con un sorrisetto enigmatico degno di una femme fatale di un film noir, non sembra affatto preoccupata. Sembra proprio che, in questa tragicommedia della politica italiana, ci siano ancora molti copioni da recitare.
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