■Antonio Loiacono
Nella notte, sette migranti provenienti dal Bangladesh e dall’Egitto sono sbarcati a Brindisi, esausti e delusi, a bordo della nave Visalli della Guardia Costiera. Non si tratta di un arrivo comune, bensì dell’ennesimo rimbalzo di un gruppo di persone che, dopo essere state “accolte” in Italia, sono state inviate nei centri per richiedenti asilo a Shengjin, una frazione del comune di Alessio sulla costa nord dell’Albania. Un trasferimento che, più che offrire una soluzione, ha aggiunto nuovi ostacoli burocratici ad un percorso già drammatico, un percorso che in questi giorni li ha riportati, incredibilmente, al punto di partenza.
Quella che sembra una procedura kafkiana è una dimostrazione di come il sistema migratorio italiano, anziché affrontare i problemi con responsabilità e rispetto, finisca per giocare una partita disumana sulla pelle di chi cerca riparo e futuro. Lo scorso lunedì, infatti, il Tribunale di Roma ha sospeso la convalida del trattenimento dei sette migranti in Albania ed ha chiesto alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea di esprimersi sul caso. E così, dopo essere stati inviati in Albania in cerca di una stabilità tanto sognata quanto precaria, questi uomini si sono ritrovati a tornare in Italia, in una sorta di “gioco dell’oca” crudele, costoso e disumano che, lungi dal risolvere la situazione, moltiplica sofferenza ed incertezza.
Il risultato? I migranti, spostati in Albania nei giorni scorsi, sono stati costretti a tornare indietro, privati non solo della serenità che un vero sistema di accoglienza potrebbe offrire, ma anche della loro stessa dignità. Perché di questo si tratta: un trattamento che li riduce a pedine di una strategia mal progettata, come tessere di un risiko al quale si gioca senza la minima considerazione per la loro storia ed i loro diritti.
Mentre l’opinione pubblica osserva, lo Stato italiano persevera in un gioco di trasferimenti che appare sempre più assurdo e dispendioso. Ogni viaggio forzato verso l’Albania è un costo elevato che grava sui fondi pubblici e sulle risorse del sistema di accoglienza, ma è anche un costo umano di proporzioni inaccettabili. Il vero prezzo è la dignità delle persone, che si vedono trattate come pacchi postali da smistare qua e là, senza considerazione per i loro bisogni, senza una prospettiva certa e soprattutto senza una strategia efficace e rispettosa dei diritti umani.
Il rimbalzo tra l’Italia e l’Albania riflette una mancanza di volontà politica ed una disumanizzazione del problema migratorio che non può più essere tollerata. Queste persone sono arrivate sulle coste italiane con la speranza di trovare rifugio in Europa, solo per scoprire di essere diventate parte di un sistema che, anziché tendere loro una mano, preferisce rinviarle all’origine o, come in questo caso, rimpallarle da una costa all’altra.
In un’epoca in cui l’Europa proclama l’importanza dei diritti umani e dell’inclusione, la realtà dipinta da questa vicenda è quella di una doppia umiliazione. Il sistema migratorio non solo si dimostra inadeguato, ma addirittura sfrutta accordi bilaterali come quello tra Italia e Albania per trattare i migranti come un problema da allontanare, anziché come persone da accogliere ed integrare.
Ora la questione è al vaglio della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che dovrà stabilire se quanto accaduto sia conforme alle normative europee sui diritti umani e sul diritto d’asilo. È una chiamata alla giustizia che non riguarda solo il caso di questi sette migranti, ma il principio stesso di una politica migratoria che rispetti la dignità umana.
Un verdetto in favore di questi uomini e delle loro famiglie segnerebbe un passo avanti verso un’Europa che non accetta più di giocare con le vite umane come se fossero pedine da spostare senza cura. Ma un eventuale via libera all’attuale sistema confermerebbe la triste realtà di una burocrazia che, anziché proteggere, rinuncia al proprio dovere di accogliere.
È tempo di smettere di lanciare i dadi e di giocare con la vita di chi, spesso a costo della propria sopravvivenza, cerca riparo sulle nostre coste. Occorre un sistema che offra soluzioni autentiche e che non si limiti a trasferire il problema ad altri Paesi, sperando di distogliere l’attenzione e di rinviare la responsabilità.
Questo ennesimo rimbalzo tra l’Italia e l’Albania rappresenta un fallimento che non possiamo ignorare: un fallimento della politica, della giustizia e della nostra stessa umanità. Fermiamo il “gioco dell’oca” delle frontiere e ripensiamo un’Europa che si impegni davvero nell’accoglienza, nel rispetto dei diritti e nella tutela della dignità di chi cerca, e merita, un futuro migliore.
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