
Siamo davanti a un vero e proprio dramma che vede la nostra società come palcoscenico e imputata principale. Un contesto di follia che letteralmente “consuma” il nostro quotidiano, rincorrendo le nostre vite e quelle di tanti altri. La piccola Stella, finita ieri in un anonimo parcheggio della Capitale, è una ennesima vittima della vita che conduciamo. Nessuno escluso. La storia, che non si vorrebbe mai scrivere, registra la tragica morte di una bimba di appena 14 mesi, sull’ovetto dell’automobile dove il papà l’ha dimenticata,
Come ho potuto dimenticarla? È la domanda che mi pongo da quando ho appreso la terribile notizia. Eppure, è proprio così. Un vuoto inspiegabile che personalmente imputo alla frenesia della vita che conduciamo. Una corsa continua che non ha alcun senso e che ha visto all’improvviso spegnersi interruttore nella testa di un uomo, come tanti, annebbiandogli la memoria. Ho una pena infinita per quel genitore, che ha dimenticato di sganciare il seggiolino, accogliendo gioioso fra le sue braccia la piccola, prima di lasciarla all’asilo nido.
Una pena infinita che inevitabilmente sconterà per la restante parte della sua vita. Una pena infinita conseguenza drammatica del silenzio proprio quello che sparisce dietro mille pensieri, dietro la fretta di andare perché c’è sempre tanto da fare. Perché le giornate sono sempre più piene e faticose e non c’è tempo di pensare al silenzio di un bambino che si era fatto conquistare per fortuna ancora da uno piccolo spicchio di sonno, inconsapevole che l’avrebbe condotto alla sua fine.
Al contrario, sarebbe il caso forse di imparare ad ascoltare di più il silenzio, fatto di valore e serenità, mettendo un freno all’impazzimento della nostra società sempre più giungla quotidiana, senza bisogno di rincorrere una società consumistica e caricando tutto di troppe aspettative, di cose con cui riempire la giornata, il lavoro, la nostra e l’esistenza dei nostri figli.
NICOLA CAMPOLI
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