
■Antonio Loiacono
La Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile il referendum abrogativo relativo alla legge sull’Autonomia differenziata delle Regioni. La decisione, presa dagli undici giudici attualmente in carica, si basa sulla constatazione che «l’oggetto e la finalità del quesito non risultano chiari».
La pronuncia segna un punto cruciale nel dibattito sul processo di differenziazione delle autonomie regionali, regolato dall’articolo 116, terzo comma, della Costituzione. Secondo la Consulta, il referendum, per come formulato, «verrebbe ad avere una portata che ne altera la funzione, risolvendosi in una scelta sull’autonomia differenziata, come tale, e in definitiva sull’art. 116». Tale materia, è stato sottolineato, non può essere oggetto di un referendum abrogativo, ma richiederebbe piuttosto una revisione costituzionale.
La Consulta si era già espressa lo scorso mese sulla cosiddetta “legge Calderoli”, evidenziando alcune criticità di compatibilità costituzionale. La legge, che punta a definire i criteri e i meccanismi per il trasferimento di competenze alle Regioni, necessiterebbe di interventi correttivi su almeno sette aspetti. Tra questi, i Livelli essenziali di prestazione (Lep), ritenuti fondamentali per garantire uniformità nei servizi essenziali su tutto il territorio nazionale, e la regolamentazione delle aliquote sui tributi regionali.
Con questa sentenza, la Corte Costituzionale ribadisce un limite importante del referendum abrogativo, previsto dall’articolo 75 della Costituzione: non può essere utilizzato per alterare l’equilibrio tra le norme costituzionali esistenti o per bypassare procedure di revisione costituzionale.
I dettagli completi della sentenza saranno disponibili nei prossimi giorni, con il deposito delle motivazioni. Intanto, la decisione alimenta il dibattito politico e istituzionale su una questione che tocca da vicino il principio di unità e solidarietà nazionale, al centro della Carta costituzionale italiana.
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