Tutto comincia da una domenica mattina di cattivo tempo che non mi ha permesso di andare in spiaggia. Salire a Terravecchia nasconde sempre un avvolgente fascino ancora di più in quelle giornate ventilate e con un cielo nuvoloso che minaccia pioggia. Un paesaggio del quale non ci si stanca mai. Anzi. C’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire come se fosse la prima volta.
Il contorno é incantevole quasi da brividi in alcuni tratti, quando Cariati sembra affiorare all’improvviso in lontananza tra le vette delle colline. Quasi si tocca con le mani. Uno spettacolo di colori e odori: unico e naturale, che emoziona al solo pensiero.
Terravecchia, piccolo Comune della provincia di Cosenza, non é solo un nugolo di case che si intravede inerpicandosi lungo i larghi e impervi tornanti della statale. Il Paese dell’infinito, a meno di 500 metri s.l.m. e poco più di 800 abitanti, é ricco di tanta storia in parte dispersa nel tempo che, però, a grande fatica e con risultati soddisfacenti si sta provando a recuperare con generosa passione.
L’Amministrazione comunale a guida ben salda del Primo cittadino Mauro Santoro, a metà del suo secondo quinquennio, é impegnata in tale direzione da più tempo. Un qualificato lavoro che fa di Terravecchia una vera bomboniera e un esempio nel panorama italiano di gestione attenta e oculata della cosa pubblica. In fondo, da queste parti si fa di necessità virtù! Non andando troppo per il sottile.
L’ultima sfida in ordine di tempo é stata scandita dall’inaugurazione, avvenuta sabato scorso alla presenza di rappresentanti istituzionali locali e regionali, delle tre sorgenti d’acqua Papanicola, Santa Maria e Jisterna.
Un progetto realizzato grazie a un filone di risorse della Regione Calabria – Dipartimento Agricoltura – PSR 2007-2013 Misura 3.1.3. Uno di quei cosiddetti piccoli interventi, spesso anche molto criticati, che se compiuti con le giuste premesse e nei tempi certi ridanno luce, invece, alla riscoperta delle identità locali, arricchendo il capitale sociale del posto.
L’iniziativa, sotto la direzione dell’architetto Giuseppe Fanigliuolo, ha teso recuperare e valorizzare il patrimonio delle antiche sorgenti. Un’opera che, nel pieno rispetto della natura e senza alcuna alterazione dei luoghi, ha ridato valore a una impareggiabile ricchezza del Paese di cui i terravecchiesi devono essere orgogliosi facendone il proprio biglietto da visita unitamente alle altre ricchezze storiche, artistiche e archeologiche del posto.
Un progetto delicato che ha voluto esclusivamente ridisegnare i luoghi come erano in passato. Essenziali nella loro funzione a servizio della popolazione e come beni caratterizzanti la vita delle generazioni di un tempo.
Si tratta di sorgenti naturali che servivano in passato la popolazione in assenza di un acquedotto comunale. Le donne dell’abitato erano solite recarsi alle sorgenti nel tardo pomeriggio e una volta riempiti dei grandi barili di 15/20 kg li trasportavano verso casa in equilibrio sulla testa. Un’abilità di non poco conto che si tramandava negli anni di madre in figlia. Alcune donne svolgevano, secondo alcune fonti storiche, il servizio della raccolta delle acque anche come lavoro per ragioni economiche.
L’attesa del proprio turno diventava molto spesso un momento di riposo e confronto tra di loro. Insomma, le sorgenti erano elette quali luoghi che favorivano sane e naturali occasioni di socialità.
Le fonti che si trovano in tre diverse zone del perimetro cittadino, a nord, a sud-est e sud-ovest, riescono a offrire una precisa connotazione al paesaggio circostante. Fatto di ulivi, viti e vegetazione spontanea.
Rappresentano tre spaccati silenziosi di cui innamorarsi, ponendo uno sguardo al passato. Immaginando chi e come hanno abitato quei luoghi. Una memoria che appassiona i terravecchiesi che se ne devono fare un gran vanto, ma del resto anche di tutti coloro che hanno lo spirito curioso di proiettarsi con la mente all’indietro.
Infine, un consiglio. Chi decide di visitare le tre sorgenti lo faccia ben attrezzato con un abbigliamento leggero e scarpe da ben tenuta!
Nicola Campoli
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