IL FIGO DI ARIANNA (MELONI)

Bisogna decidere, e non è facile: il ministro Lollobrigida c’è o ci fa? Nel primo caso ha diritto – lui – a vedersi riconoscere quantomeno le attenuanti generiche, sul tipo: poverino, non lo fa apposta, è la sua mamma che l’ha fatto così, chissà quali traumi ha subito da piccolo. Meno attenuanti, però, spettano in questo caso a chi, pur consapevole delle difficoltà in cui versa, gli ha offerto un portafoglio ministeriale: il rapporto fra il ministro e chi quello scranno gli ha offerto, infatti, è tutt’altro che occasionale, visto che fra i due, ossia – il (o la, fate voi) presidente del Consiglio e l’interessato, c’è uno stretto rapporto di parentela, sia pure acquisito.

Il (o la) presidente del Consiglio sa infatti, o almeno si suppone che dovrebbe sapere, quali sono le peculiarità caratteriali e culturali del cognato (che ha pubblicamente ammesso di essere ignorante) e prudentemente, alla luce di questa consapevolezza, avrebbe dovuto astenersi dall’offrirgli quello scranno; salvo che altre considerazioni, di natura affettiva (anche i cognati so’ piezz’e core, mica solo i figli) l’abbiano indotto (o indotta) a inserirlo nella compagine governativa, dopo aver assegnato alla di lui sposa Arianna (e di sé stessa sorella) la segreteria del proprio partito.

Poi c’è l’altra ipotesi, più favorevole al ministro per quanto riguarda lo spazio racchiuso fra le meningi del medesimo, ma meno per altri versi, ossia che egli non ci sia ma ci faccia. Questa seconda ipotesi farebbe infatti discendere un’ombra sinistra sulla psicologia non solo del Grande Cognato, ma soprattutto della Grande Cognata, che al compimento del primo compleanno del proprio governo si compiaceva di aver dato voce all’Italia di chi suda e lavora, di chi fa sacrifici; a quell’Italia della quale, ipsa dixit, la sinistra invece si era infischiata alla grande.

Senonché arriva poi il Grande Cognato, che si lascia andare a dichiarazioni quali “i poveri mangiano meglio dei ricchi”, “non possiamo arrenderci all’idea della sostituzione etnica” e dulcis in fundo, dopo aver fatto fermare un Frecciarossa a una fermata non prevista, “ho chiesto quello che avrebbe potuto chiedere qualunque cittadino”.

Dichiarazioni di tal fatta da parte del Grande Cognato sono a tal punto infarcite di supponenza, arroganza e spocchia, da rischiare di distruggere l’idillico quadretto dipinto dalla (o dal, fate voi) presidente del Consiglio dei ministri, e a questo punto è inevitabile che uno si chieda: come reagisce il (o la) presidente del Consiglio, quando il Grande Cognato si lascia andare a siffatte esternazioni, degne del marchese del Grillo?  Telefonerà forse alla Grande Sorella, manifestandole il suo disappunto e invitandola a redarguire il suo ministeriale sposo? O agirà di persona, convocando l’interessato e rimproverandolo aspramente per aver detto apertamente ciò che invece ovviamente pensa pure lei, ma deve restare in famiglia?

È più probabile, forse, che il (o la) presidente del Consiglio si limiti, sconsolata, ad allargare le braccia, augurandosi che la gente dimentichi (cosa peraltro molto probabile) e continui a conservarle i suoi pur mutevoli favori, anche se è lecito immaginare che cada in ginocchio e preghi Dio, in nome della Patria, di elargire un briciolo di senno a quel membro della sua Famiglia.

Già: Dio, Patria e Famiglia: questo spiegherebbe perché la Grande Cognata ha rispolverato questa vetusta, polverosa e non poco reazionaria trinità.

Giuseppe Riccardo Festa

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