IGNORANZA E STAGNAZIONE: IL DECLINO CULTURALE CHE FRENA L’ITALIA

Antonio Loiacono

Il 2024, che a prima vista potrebbe essere celebrato come l’anno dei record — occupazione e turismo da un lato, ma anche denatalità, debito pubblico e astensionismo dall’altro — rivela, ad un’analisi più attenta, un’Italia sospesa in un equilibrio stagnante. La cosiddetta “sindrome italiana”, descritta nell’ultimo rapporto Censis, incarna una continuità nella medietà: un Paese che galleggia senza sprofondare, ma incapace di slanci eroici verso il progresso. Un’Italia alle prese con una drammatica carenza culturale, un problema che mina alla radice le sue ambizioni di crescita economica, sociale e civile. La mancanza di conoscenze di base non è solo una questione educativa, ma un nodo strutturale che rende i cittadini più vulnerabili a stereotipi, manipolazioni e scelte politiche miopi.

Il sistema scolastico italiano mostra un quadro allarmante. Al termine del ciclo delle superiori, il 43,5% degli studenti non raggiunge livelli adeguati di competenze linguistiche, percentuale che schizza all’80% negli istituti professionali. In matematica, la situazione è altrettanto grave: il 47,5% degli studenti delle superiori non soddisfa gli obiettivi minimi di apprendimento, con un picco dell’81% negli istituti professionali.

Questi dati indicano un fallimento sistemico che non solo limita le opportunità individuali, ma penalizza la competitività del Paese. Un giovane italiano poco preparato oggi, sarà un adulto meno capace di affrontare le sfide di domani.

L’ignoranza storica e culturale degli italiani emerge in tutta la sua gravità: quasi la metà (49,7%) non sa indicare correttamente l’anno della Rivoluzione francese. Il 30,3% ignora chi sia Giuseppe Mazzini, mentre il 19,3% lo confonde con un politico della Prima Repubblica. La Cappella Sistina viene attribuita a Leonardo o Giotto dal 32,4% della popolazione, e persino Dante Alighieri, il sommo poeta, viene “sottratto” alla Divina Commedia dal 6,1% degli intervistati.

Questi vuoti di conoscenza non sono meri dettagli: sono la base di un’incapacità di comprendere il contesto storico e culturale in cui viviamo. La cittadinanza culturale sembra ancora lontana per una parte consistente del Paese.

L’ignoranza alimenta stereotipi e pregiudizi radicati. Il 20,9% degli italiani è convinto che gli ebrei dominino il mondo attraverso la finanza, il 15,3% considera l’omosessualità una malattia e il 13,1% crede che l’intelligenza dipenda dall’etnia. Idee pericolose, come quella secondo cui la propensione a delinquere sarebbe genetica (9,2%) o che islam e jihadismo siano sinonimi (8,3%), trovano terreno fertile in un contesto di scarsa alfabetizzazione.

Questi dati suggeriscono che l’ignoranza non è solo un limite personale, ma un problema collettivo. È qui che si radicano le divisioni sociali e si amplifica la paura del diverso, con implicazioni per la coesione sociale e il dibattito politico.

L’assenza di competenze culturali rende i cittadini meno capaci di affrontare il cambiamento e più vulnerabili a manipolazioni. Mentre il mondo corre verso un futuro complesso e globalizzato, un’Italia impreparata rischia di rimanere indietro. Questo non è solo un problema educativo, ma una questione strategica: un popolo ignorante è meno libero, meno competitivo e meno consapevole del proprio ruolo nel mondo.

La soluzione a questa deriva deve passare attraverso un ripensamento profondo del sistema educativo ed una nuova attenzione alla cultura. Investire nella scuola, nella formazione continua e nell’accesso alla conoscenza è indispensabile per dare all’Italia un futuro migliore. Non si tratta solo di superare l’ignoranza, ma di costruire una società più giusta, inclusiva e capace di competere nel panorama globale.

L’ignoranza non è solo un difetto; è una zavorra e finché non sarà affrontata con decisione, continuerà a rallentare ogni passo verso il progresso.

 

 

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