Guido Perri: lettera aperta..come cittadino

(….) Ma dopo cena fai un salto in ospedale?”; in altri tempi ed in altre circostanze questa domanda di mia madre mi avrebbe certamente sorpreso e avrei accompagnato il prevedibile diniego ad una certa ritualità scaramantica.

In questo tempo però in cui tutto sembra avere abbandonato la dimensione della normalità, ed in queste circostanze tanto impreviste, anche una domanda cosi inconsueta diventa in un certo senso “accettabile”.

Se poi guardiamo a quello che sta accadendo nella nostra comunità, in questi ultimi giorni, l’invito a fare un salto in ospedale diventa una “chiamata alle armi”, un richiamo al dovere, un appello all’orgoglio di essere calabresi e cariatesi.

L’ ospedale Vittorio Cosentino, quell’intatto monolite che non sembra poi così tanto risentire dell’incedere del tempo e dell’immobilismo, torna ad illuminarsi nella lunga notte che avvolge questa nostra terra.

C’eravamo tutti abituati a che rimanesse luogo di ricordo, di rimpianto, di recriminazioni, l’ennesimo esempio di un territorio che è destinato a svuotarsi di servizi ai cittadini e diventare, al più, meta turistica; il mare del resto non possono portarlo via ed è l’unica cosa che forse non si può ancora del tutto prosciugare.

E così ecco l’alibi perfetto: Cariati è un paese di mare, agosto arriverà e tutto andrà bene; occorre preoccuparsi del programma estivo, delle sagre e della spiaggia: Cariati è questo, un paese di mare, il turismo ci salverà, a Cariati dovremmo e potremmo vivere solo di turismo.

Questo discorso almeno una volta nella vita lo abbiamo sentito tutti; qualcuno ha finito anche per crederci salvo doversi ad un certo punto confrontare, più o meno tutti, con la realtà che vede i figli, i fratelli, i congiunti partire per tornare a lavorare. Insomma, per venti giorni l’anno Cariati ritorna ad essere un comune abitato dai suoi cittadini che tornano per “fare i bagni” e ripartono, svuotandolo, per andare a lavorare.

In sostanza, la nostra Cariati è negli anni divenuta una meta turistica per i propri cittadini (oltre a qualche sparuta presenza nordica o partenopea): cioè siamo turisti a casa nostra.

Avete mai fatto caso a questo enorme paradosso?: Noi cariatesi siamo ospiti di mille città e turisti a casa nostra; Praticamente dei moderni gitani.

Per le strade del nostro Paese si incrociano le vite e i destini di due blocchi sociali, anzi tre: i partiti, i rimasti, i tornati. La partita è sempre aperta tra le ragioni della partenza, quelle del ritorno e quelle della presenza.

Si è deciso di partire perché qui non c’è nulla, si è deciso di restare perché altrove poi non si sta più cosi bene come dice chi è partito, si è deciso di tornare perché qualcosa altrove non è andato oppure perché qualcosa dentro è cambiato rispetto a quando si è partiti.

Al di là di ogni posizione e di ogni ragione penso sia chiaro a tutti un fatto: il collasso della nostra comunità. Un lento stillicidio di diritti, una progressiva perdita di servizi, di identità e di prospettiva: Cariati vive prima di tutto, a mio parere almeno, una immensa crisi sociale.

Il patto generazionale è saltato, di ciò che i nostri nonni avevano costruito e di cui i nostri genitori hanno goduto a noi generazioni presenti è rimasto ben poco.  Se ci sta bene restiamo e cerchiamo di cavarcela, se non ci sta bene partiamo e vediamo cosa succede.

E Cariati? Cosa resta di Cariati?. Cosa resta di quella villetta comunale in cui era impossibile trovare parcheggio il sabato sera o a Capodanno?; cosa resta di quella moltitudine di studenti che invadeva le strade al suono delle campanelle delle tante scuole piene di vita e futuro?; cosa resta dei colori, dei suoni, dei volti  di quel lungomare e delle vie intorno?; cosa resta della grande tradizione musicale cariatese?; cosa ne è del campo sportivo e delle domeniche di polemiche e risate sugli spalti?; cosa resta delle file per entrare al pub?; cosa resta di quell’ospedale che era presidio di cura ma allo stesso tempo motore di economia e socialità?;cosa resta delle mille tradizioni che ci univano e nelle quali tutti ci riconoscevamo?; cosa resta di quella cittadina di cui ti lamentavi sempre ma alla fine dicevi: “infondo cosa ci manca?”.

La risposta al “cosa ci manca?” è arrivata negli anni. La graduale privazione di servizi per Cariati nella logica bieca e nell’ottica miope della centralizzazione. Dal taglio di importanti uffici amministrativi ed istituzionali all’incentivo praticamente pari allo zero dell’attività imprenditoriale sul nostro territorio, fino alla tragica chiusura del Vittorio Cosentino, si è arrivati alla desertificazione di una intera area geografica ed alla crisi della nostra comunità. Cariati viveva ed era popolato perché era centro di interessi, di uffici, di professionalità, di mestieri. Cariati era pieno di persone, Cariati era una comunità. Non la si vedeva sempre tutti allo stesso modo, questo è certo, ma si era orgogliosamente cariatesi!!!.

E’ abbastanza inutile ad oggi cercare alibi, cercare colpevoli: la verità è che siamo tutti colpevoli e tutti innocenti e tutti seduti in riva al medesimo fosso ad osservare il declino di una comunità.

Quando una comunità non discute più, non comunica più e non si incontra più; quando in una comunità esiste sempre e solo un “voi” e sempre meno un “noi” non resta che sperare nell’ennesima valigia da chiudere e partire.

Ed allora cosa resta da governare? ….. il vuoto !. Si è padroni forse, ma ha senso essere padroni di un pugno di sabbia ?.

Ciò che in questi giorni sta accadendo al Vittorio Cosentino, la pacifica protesta contro la chiusura e la legittima pretesa di riabilitazione del nostro ospedale è prima di tutto un segnale di civiltà e rappresenta l’esempio di una comunità ancora viva, nonostante tutto.

Questo è il miracolo di queste giornate, questo il messaggio che resterà e dal quale ripartire. La stanza adibita a base dell’occupazione vede ogni giorno ed ogni notte riunirsi, con tutte le accortezze dovute al periodo, persone che si confrontano, discutono, condividono.

In quelle mura si è creato ciò che da anni, al netto di bandiere, fischietti e palloncini, non si vedeva più: una comunità riunita sotto un unico scopo.

Riaprire il Vittorio Cosentino a Cariati significherebbe non solo per la nostra città ma anche per il comprensorio riaccendere una speranza a che questo territorio, da anni depredato, torni a riprendersi dignità e prospettiva.

In questi giorni che ho trascorso insieme a tutti i miei concittadini impegnati nella lotta pacifica per la riapertura dell’ospedale io ho rivisto Cariati e ho sentito ancora di nuovo l’orgoglio di essere cariatese.

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