Fare memoria operativa di “Nilo, il più illustre figlio di Rossano” (19 settembre 1004-2013).

Sono trascorsi 1.009 anni dalla dipartita a Grottaferrata di Nilo di Rossano, asceta, santo, intellettuale organico, profeta, dalla lunga vita (novantaquattro anni), nonostante i tempi drammatici e nonostante le privazioni, le sofferenze e un attivismo senza sosta e risparmio di energie. Nilo, a differenza dei tanti anonimi della storia, ha vissuto una vita intensa, ha lasciato segni di cambiamento a servizio degli uomini e, perciò, resta sempre vivo nella memoria individuale e collettiva, con una meta-storicità e un’attualità sconcertanti. Nilo è l’uomo della testimonianza della scelta radicale, perché vivere non è lasciarsi vivere, lasciarsi trascinare dalla corrente conformistica delle tendenze della propria epoca, ma imboccare la propria strada esistenziale, con libertà, responsabilità e consapevolezza che la vita è missione e servizio. Egli sceglie Dio, convinto che la fede è dialogo con l’Assoluto, amore personale e diretto, che richiede l’esclusività di quel rapporto e la rinuncia agli idoli del mondo (status sociale, ricchezza, potere, famiglia). Ma la sua non è una fede intimista, devozionista, rituale e, perciò, egocentrica, egoista, estranea alla storia e all’umanità, bensì è la fede-agape, comunitaria, associata, solidale, condivisa, donata: non si ama né si serve il proprio Dio se non si ama e non si serve l’umanità di cui si è parte integrante. Egli ama e serve l’umanità dolente, quella che vive nel bisogno e nella marginalità, quella che subisce i soprusi dei potenti e dei prepotenti, quella della sua Rossano per 70 anni e, per gli altri 24, quella della Campania e del Lazio. Nilo è l’uomo della testimonianza della Riforma religiosa del Monachesimo, conciliando l’Anacoretismo del rapporto eremitico-personale-solitario con Dio con il Cenobitismo del rapporto comunitario-solidale-condiviso con l’Assoluto, la vita contemplativa (il bios theoreticòs) con la vita operativa (il bios practicòs), il pensare (il léghein) con il fare (il pràttein), la fede con la vita. I Monasteri da lui fondati (come il S. Giovanni Battista o “Santu Janni” e il Salvatore a Rossano, il S. Adriano nell’attuale S. Demetrio Corone, il Vallelucio presso Montecassino, il Serperi presso Gaeta, il S. Maria di Grottaferrata presso Roma) sono protagonisti e artefici di cambiamento in quei secoli drammatici: sono i luoghi di intensa religiosità ascetica individuale e associata, di “metànoia” ossia di rinnovamento e perfezionamento spirituale fino alla santità; sono le case editrici ante litteram, dove oscuri amanuensi, trascrivendo gli antichi testi, salvano dalla distruzione e dall’oblio l’eredità delle Civiltà e delle culture laiche greche e latine; sono gli archivi delle memorie storiche precedenti attraverso la costituzione di grandi Biblioteche, fondamenti dell’Umanesimo-Rinascimento e delle future Civiltà; sono i centri economici e sociali in sostituzione delle città (in un mondo de-urbanizzato e ruralizzato), dove le popolazioni disorientate e terrorizzate trovano le condizioni e le opportunità di ospitalità, di lavoro, di vita; sono i soggetti sociali – gli unici in quel tempo – di difesa e protezione dei diritti elementari dei poveri e dei subalterni; sono le riserve di energie spirituali e morali alle quali la Chiesa attingerà nei secoli e sulle quali costruirà il suo prestigio e la sua autorevolezza. Nilo è l’uomo della testimonianza dell’importanza della Cultura, segnatamente nei periodi burrascosi e quando le coscienze individuali e collettive sono sbandate, perché la cultura è valore, risorsa, finalità: è valore perché in essa si esprimono i principi dell’Umanesimo (teista, laico, ateista), ossia la creatività, l’intelligenza, i sentimenti, l’autonomia critica, la vision della realtà e del futuro, il senso e il progetto di vita dell’uomo singolo e associato, in questi valori riconosciuti e condivisi si ritrovano comunità e popolo, perché essi ed essi soltanto fanno autentica coesione sociale e danno unità di identità, di appartenenza, di fierezza; è risorsa perché è in grado di produrre la risorsa economica immateriale più grande in assoluto, quella universalmente valida, quella che non è mai soggetta alle variabili del mercato, è il capitale umano, il capitale intellettivo, il capitale delle capacità e delle professionalità; è finalità di ogni ambizioso progetto di sviluppo per l’oggi e per il domani, che punti su una società a misura d’uomo, più giusta, più eguale, più fraterna, più solidale, più pacifica, più rispettosa della vita e dell’ambiente. Nilo è l’uomo della testimonianza della Civiltà e della cultura mediterranee greco-bizantine, che, arricchitesi e perfezionatesi nel Mezzogiorno d’Italia e in Calabria (e a Rossano), rappresentano il contributo originale, qualificante e il fondamento della Civiltà europea, sintesi di culture e sensibilità diverse. Nilo è l’uomo della testimonianza dell’Unità e dell’Ecumenismo, impegnato costantemente, da Cristiano greco-bizantino, nel dialogo, con rispetto e apertura e tra eguali, con i credenti e le persone dei tre Monoteismi del Mediterraneo: i Cristiani latino-cattolici, i Musulmani-islamici, gli Ebrei-giudei. Nilo è l’uomo della testimonianza della profezia dell’Unità dei Cristiani, resa visibilmente con l’apposita fondazione del Monastero di S. Maria di Grottaferrata (con-fondato da S. Bartolomeo, un altro Rossanese dimenticato) quale luogo e laboratorio di idee, d’incontro, di dialogo, di sintesi tra le due anime del Cristianesimo, quella orientale-greco-bizantina e quella occidentale-latino-cattolica, in rottura o in autonomia dallo scisma del 1054 fino ad oggi. Nilo è l’uomo della testimonianza-simbolo dell’Emigrante calabrese, del Meridionale che, per costrizione del bisogno o per libera scelta, va altrove, oltre, oltre ogni confine, alla ricerca di nuove opportunità e condizioni di vita, accettando – con coraggio – la sfida della novità e fiero di portare nel bagaglio la sua identità, la sua Calabresità, la sua intelligenza, la sua operosità. Un simbolo, una metafora che ha saputo cogliere il più grande scultore del ‘900, Pericle Fazzini, in un pregevole bozzetto voluto e realizzato, con i fondi dell’Area Urbana Rossano-Corigliano, nella fontana di Piazza Steri, nella quale Nilo l’emigrante s’incammina da Rossano per Grottaferrata, portando con sé e nel mondo la Civiltà greco-bizantina e quella dell’olio (rappresentate dall’Oratorio del S. Marco e dall’ulivo). Nilo è l’uomo della testimonianza di un exemplum, di un modello di riferimento, valido mille anni fa e ancora attuale: è il modello della scelta del pensiero forte, dei principi e dei valori forti; è il modello della fedeltà a quella scelta del pensiero forte, dei principi e valori forti; è altresì il modello della coerenza comportamentale tra ciò che si pensa, ciò che si dice, ciò che si fa. Un exemplum universale ed eterno che caratterizza tante persone e tanti cittadini operosi, non sempre apprezzati e non sempre gratificati (nemo profeta in patria), ma paghi di aver fatto la propria parte e il proprio dovere e di avere contribuito a lasciare un mondo migliore a quelli che verranno, dei quali – oggi, qui ed ora – la società e i giovani hanno bisogno, per non perdere, anzi per consolidare la fiducia e la speranza nel futuro. Auspico che i miei Concittadini di Rossano, dell’Arcidiocesi e della Calabria del Nord-Est facciano memoria del “più illustre figlio” di questa terra, memoria continuativa e memoria operativa, in questo momento storico molto difficile, in cui questo Comprensorio è oggetto continuo di ingiustificabili e ciniche spoliazioni e rapine (sanità, ospedali, tribunale, treni, uffici pubblici; in cambio hanno lasciato disoccupazione, fuga dei giovani e dei cervelli, rifiuti, la famigerata SS. 106, la ‘ndrangheta), non è rappresentato da nessuno e a nessun livello, è sfiduciato e rassegnato, e perciò ha bisogno – un bisogno vitale e urgente – di recuperare la propria unità-identità di appartenenza e di territorio, la fierezza e il coraggio propri dei Calabresi, la capacità di resistenza e di reattività, perché non muoia la speranza e si alimenti la fede che, se ci crediamo, ce la possiamo fare. Francesco Filareto

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