“La donna uscì dalla costola dell’uomo, non dai piedi per essere calpestata
Non dalla testa, per essere superiore
Ma dal lato, per essere uguale
Sotto il braccio, per essere protetta
Accanto al cuore, per essere amata.”
E’ con questa bellissima citazione che voglio iniziare, oggi, a parlare delle donne; quelle donne troppo spesso elogiate esclusivamente con le parole , quelle donne che per una banale ragione diventano vittime di pregiudizi. Vi racconterò, con questo articolo, alcune storie più o meno note che hanno un unico comune denominatore chiamato violenza. Vivere di pregiudizi costringe ad una vita mediocre, in qualche modo avvelena e abbrutisce noi e tutto ciò che ci circonda; le storie, le donne di cui ho deciso di parlarvi sono donne che hanno vissuto e pagato amaramente per un enorme pregiudizio.
La prima storia che voglio raccontarvi è quella di Mutlu Kaya, 19 anni, bellissima ragazza turca dagli occhi smeraldo; era addetta ad una mensa scolastica, cresciuta in una semplice famiglia, ma con un grande sogno ovvero quello di diventare una cantante. Come molte dei ragazzi in cerca di fortuna, Mutlu sbarca nel mondo della tv, provini su provini per cercare di realizzare il suo grande sogno; la disapprovazione, però, della sua famiglia e del suo fidanzato, persone profondamente radicali, ad un certo punto la portano ad abbandonare tutto.
Succede però, che una delle più importanti cantanti turche vede un provino di Mutlu e si innamora della sua soave voce; decide quindi di recarsi a casa della famiglia per convincere tutti che lei doveva partecipare ad un talent show. Mutlu accetta, canta in tv e tutta la Turchia resta estasiata di fronte a quel talento; in realtà lei non fece in tempo ad assaporare quel successo perché minacciata dalla sua stessa famiglia, accusata di aver gettato vergogna sulla sua intera comunità quindi le proibiscono definitivamente di continuare la sua carriera. Mutlu, questa volta, decide di non rinunciare alla sua libertà; un colpo di pistola in testa ne è il risultato. Dopo dodici giorni di coma, Mutlu si riprende e il fidanzato venne arrestato.
La seconda storia parla di Hina Saalem, ventenne pakistana che vive e lavora da anni in Italia. Come tutte le ventenni Hina ha il diritto di vivere la sua giovane età, ha il diritto di innamorarsi e di lasciarsi, di ripensarci, ha il diritto di poter sbagliare e riprovare; perché a vent’anni non pensi al matrimonio e non accetti di essere promessa già a qualcuno. Hina, infatti, trova l’amore in un giovane bresciano e, con la disapprovazione della sua famiglia, va via di casa insieme a lui. Un giorno suo padre e i suoi fratelli, adducendo a una scusa, la richiamano nella loro casa ed è lì che Hina trova la morte; ventotto coltellate ricevute perché si era innamorata. Hina viene accoltellata, sgozzata e seppellita nel giardino di casa.
La terza storia, la più recente: Sara di Pietrantonio. Ventidue anni, romana dai capelli biondi e gli occhi di chi, ancora, ha tanto da vivere. Sara è stata assassinata dal suo ex fidanzato; torturata prima, trovata carbonizzata poi. La colpa di Sara? Aver lasciato quel fidanzato violento, essersi innamorata di nuovo, credere di avere il diritto di amare ancora.
Mutlu, Hina, Sara; potrei elencarvi ancora tanti altri nomi, tante altre giovani donne assassinate per futili motivi che hanno pagato con la loro vita la colpa di un pregiudizio insito nella società. Non possiamo trovare nemmeno un fittizio alibi in una concezione religiosa estremamente radicale, ovvero quella islamica, perché oggi non c’è e non può esserci alcuna distinzione religiosa; non c’è un Dio diverso, non c’è una mentalità diversa: è questo il punto. Il filo che separa Oriente e Occidente è sempre più labile; c’è un Occidente spaventosamente brutale, ci sono donne che pagano poiché DONNE e non perché si siano macchiate chissà di quale grande colpa. In altre parole, non c’è religione a cui appellarsi e che possa fare la differenza. Mutlu è stata condannata per la sua scelta di cantare; lei giovane e bellissima donna che canta in Tv con le braccia scoperte. Hina, è morta in nome di qualcuno a cui era stata promessa e che nemmeno conosceva. Sara, attirata con l’inganno e torturata perché qualcuno si era impossessato di lei, del suo essere donna.
Le verità, cari amici, sono due. La prima, è che assassino non è solo colui che commette un reato. Assassini siamo anche noi che giorno dopo giorno mostriamo sempre maggiore indifferenza verso una tematica che ancora non è stata recepita nella sua reale gravità; assassini sono le istituzioni che, al di là di qualche denuncia protocollata nelle varie questure, non sono in grado di fornire una tutela giuridica efficace. Ne è testimonianza un numero agghiacciante: 330 donne uccise, solo in Italia, dal 2014 ad oggi.
La seconda verità è che la donna spaventa .. spaventa per la sua empatia. Le donne hanno lo straordinario privilegio di sentire e percepire ogni cosa prima di tutti; sentono la felicità, percepiscono il dolore e lo affrontano con coraggio e determinazione, quella determinazione di cui storicamente la donna è stata sempre sprovvista poiché schiava di una concezione estremamente patriarcale della famiglia. La donna è donna quindi non può lavorare, non può avere un’opinione, non può “pretendere” di essere diversa da com’è.
Ebbene donne, è il momento di dire basta, è il momento di iniziare a capire che la nostra sicurezza non deve e non può essere percepita come una stupida pretesa bensì come un DIRITTO costituzionalmente garantito.
Concludo con un verso, di una delle più belle citazioni del Novecento che riassume a pieno l’estrema empatia di cui si discuteva in precedenza e di cui noi donne siamo privilegiate detentrici.
“Ascolta come mi batte forte il tuo cuore.”
(Wislawa Szymborska)
Elisa Agazio
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