ANCORA PALLONE: REPETITA IUVANT

Di solito, come già ho avuto occasione di dire, finito il campionato nazionale di calcio c’è una pausa.

La sparuta minoranza degli esseri umani di sesso maschile e la stragrande maggioranza di quelli di sesso femminile, oltre al profumo dei fiori di tiglio e di ligustro e ai caldi raggi del sole estivo, si godono una deliziosa pausa di silenzio che subentra al fragore calcistico che, volenti o nolenti, sono costretti a subire durante il resto dell’anno.

Un fragore costituito dalle voci dei commentatori, ufficiali e non, degli eventi legati al mondo del calcio e costituito di frasi sempre uguali, sempre le stesse, delle quali cambia soltanto – e nemmeno sempre – la disposizione:

Una fitta ragnatela a centrocampo
l’errore arbitrale
la condizione psicofisica dei giocatori
la disposizione in campo della formazione
la tattica del fuorigioco
un veloce contropiede
un rapido rovesciamento di fronte
il rischio retrocessione
un tiro imprendibile all’incrocio dei pali
i dubbi sulla formazione
i problemi della difesa
gli errori tattici della panchina
la panchina traballante del tecnico

Eccetera, eccetera.

Ci sono poi le valutazioni altalenanti su squadre e giocatori, le cui performance sono oggetto di giudizi ora esaltati (“gli incredibili risultati della Pizzottese”; “super Botolotto ancora in gol”) ora avvilenti (“Pizzottese: è crisi”; “Botolotto non segna più: è crisi”), magari a distanza di una sola partita.

Al tutto si somma il chiacchiericcio del pettegolezzo (è fico chiamarlo gossip, ma sempre pettegolezzo è) sul giocatore del momento, vuoi perché mette incinte caterve di attricette, vuoi perché fa le ore piccole in discoteca, o ha sovrapposto un tatuaggio nuovo alla cappella Sistina che già aveva addosso, o ha cambiato colore alla cresta sul cranio; non parliamo poi dello stiramento agli adduttori, del menisco che crea problemi, della pubalgia, del legamento crociato (che uno si chiede sempre: ma che accidenti è ‘sto legamento crociato?) e dei mille altri malanni che sono soliti colpire i giocatori di calcio: mai che, come càpita a noi comuni mortali, gli venga la cacarella col fischio o il raffreddore a go-go, o la maledetta prostatite acuta, come a quello della pubblicità che si sveglia la notte perché ha sentito un rumore in cucina ma in realtà va a fare due gocce di pipì, che di più la prostata stretta non gliene concede.

Non bisogna dimenticare, naturalmente, le partite vendute, i risultati concordati, le scommesse sottobanco, le combine; le alchimie societarie, gli ingaggi per cifre folli, i bilanci fallimentari; e, ancora, le violenze fuori e dentro gli stadi, le follie degli ultrà, i treni sfasciati, i bagarinaggi, gli insulti razzisti ai giocatori non indo-europei e alle squadre nemiche: insomma tutto quel guazzabuglio di nefandezze che fanno del calcio una faccenda che, qualunque cosa sia, non ha nessuna relazione con lo sport.

Bene: per un paio di benedetti mesi su tutto questo, prima che comincino le partite pre-campionato, scende il silenzio: un silenzio tanto angoscioso per i tifosi quanto balsamico e ristoratore per i pochi maschi e le moltissime femmine ai quali del calcio non potrebbe fregargliene di meno.

Di solito; o meglio, ad anni alterni. Perché ad anni alterni, finito il campionato, il circo continua: negli anni pari bisestili c’è il campionato europeo, in quelli non bisestili c’è il mondiale. E il 2016 è un anno pari bisestile. Dunque, come tutti sanno, quest’anno ci sono gli europei: in Francia.

Ma qualcosa, nel giocattolo, si è rotto.

Qualcuno, forse, si sarà accorto che, parola più parola meno, finora questo articolo ricalca quello che scrissi alla vigilia dei mondiali brasiliani di due anni fa, teatro di una storica figuraccia della Nazionale di Prandelli. Prandelli che con l’occasione, se non erro, fu sostituito da Conte che a sua volta, ma stavolta già si sapeva da prima, sarà sostituito da un altro che non mi ricordo, anzi proprio non lo so, come si chiama. Conte se ne va, se ho capito bene, perché lo secca di non poter gestire i calciatori come vorrebbe lui. Mica scemo: se l’Italia va bene, all’Europeo, è merito suo; se invece va male, potrà dire: “Io l’avevo detto”.

Tornando all’Europeo è comico però, anzi, tragicomico, che così come il Brasile di due anni fa, anche la Francia di oggi abbia gatte da pelare che smorzano parecchio gli entusiasmi pallonari dei suoi cittadini: la natura matrigna e il governo ci hanno messo parecchi carichi da undici per distrarre i nostri cugini: a parte il crollo del mito Platini, distrutto da una faccenda di soldi con Blatter, alluvioni disastrose, per quanto riguarda la natura, e una politica ancora più disastrosa per quanto riguarda il governo, così impopolare oramai che Marine Le Pen si frega le mani pensando alle prossime elezioni presidenziali.

Forse, chissà? Il presidente Hollande sperava in un recupero di popolarità grazie proprio al campionato europeo; ma i fatti sembrano smentire le sue speranze: la Francia, ieri, ha faticato ad avere ragione della Romania; se va avanti così, avrà lo stesso successo in campionato che Hollande sta avendo in politica.

E qui questo articolo torna alle riflessioni di quello di due anni fa.

È possibile, in una società ormai globalizzata, iper-informata, agguerrita ed esasperata, che basti il vetusto “panem et circenses”, o addirittura solo i “circenses” senza manco il “panem”, per tenere buona la gente?

In Francia oggi, come in Brasile due anni fa, pare proprio di no.

In Italia, al riguardo, qualche dubbio continua ad essere legittimo.

 

Giuseppe Riccardo Festa

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