Croce si sbagliava: non possiamo più dirci cristiani

Quando Benedetto Croce, da quell’intellettuale che era, enunciò il suo famoso aforisma, “Non possiamo non dirci cristiani”, si riferiva ai precedenti 1900 e rotti anni durante i quali il cristianesimo aveva imbevuto di sé il pensiero del mondo occidentale generando filosofie, strutture mentali, sociali, morali, giuridiche e politiche a tal punto pervasive che perfino ideologie apparentemente ai suoi antipodi come il comunismo e il fascismo, e perfino la Rivoluzione Francese, col suo richiamo alla fraternità, potevano legittimamente esserne considerate emanazioni.

Non so fino a che punto Croce che, lo ripeto, era prima di tutto un intellettuale, intendesse includere, in quell’aforisma, anche il senso più profondamente etico del messaggio cristiano, quello che perfino uno strenuo paladino della laicità, per esempio io, riconosce come nobile ed alto e degno di essere rispettato e seguito.

Quello che so, di sicuro, è che mai come oggi è stata evidente la frattura fra il dirsi e l’essere cristiani, fra l’esibizione di segni esteriori di religiosità e la realtà dei comportamenti, sia fra le masse che fra i leader.

Intendiamoci: Matteo Salvini che sventola vangeli e rosari, Giuseppe Conte che esibisce santini di padre Pio e Luigi Di Maio che bacia ampolle di sangue di san Gennaro non hanno inventato niente: sono emuli nientemeno che di Costantino il grande, quello che raccontò di una visione d’una croce e che astutamente servendosi di quel segno (ripeto: servendosi di quel segno: è questo che significa in hoc signo vinces), e così motivando i moltissimi cristiani fra le sue truppe, sconfisse Massenzio. La politica si è servita da allora di Cristo come prima di allora s’era servita di Giove e Minerva.

Quando parlo di frattura fra il dirsi e l’essere cristiani mi riferisco a chi non vede lo stridente contrasto tra il suo dichiarare di voler difendere la nostra civiltà, appunto cristiana, e i suoi valori, e poi il prenderli a calci, quei valori, quando dice frasi orribili come “prima gli italiani”, “basta coi buonisti”, “gli immigrati portateveli a casa vostra”, “la finanza mondiale è in mano alle lobby ebraiche”, “chi aiuta gli immigrati è contro gli italiani”, “i musulmani sono tutti assassini”, “i negri sono tutti stupratori”, “gli zingari sono tutti ladri”, “quanti immigrati ospita il papa”, “Gino Strada se ne vada in Africa” o peggio, apprendendo del suicidio di un giovane immigrato scacciato da un centro di accoglienza, pubblicamente e con soddisfazione dichiara “uno di meno”.

A costoro vorrei dire di lasciar perdere, quando si esprimono in questo modo, i riferimenti a quel povero ebreo (ripeto: un povero ebreo) che, secondo i vangeli, si fece ammazzare pensando così di portare la pace e l’amore fra tutti gli uomini.

A costoro vorrei citare queste parole di quel Cristo che dicono di voler difendere (Mt 25:35-43):

Io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me.

Una cosa chiedo, a voi sedicenti cristiani che volete i porti chiusi, che avete paura che qualche diecina di disgraziati sparuti e miserabili vi sottragga qualche spicciolo della vostra abbondanza, che vi turate le orecchie per non sentire e serrate le palpebre per non vedere, che seminate intolleranza e odio e osate parlare di difesa del cristianesimo: quel vangelo che sventolate, sul quale giurate e che dite di amare e di voler difendere, l’avete almeno letto? Io penso di no.

E allora, cazzo, leggetelo.

Giuseppe Riccardo Festa

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