CLAUDIO ABBADO, LA MUSICA.

Fin dall’inizio, quando cominciai ad appassionarmi alla grande musica, mi resi conto di quanto potessero essere diversi fra loro i direttori d’’orchestra. Karajan, per esempio, non lo potevo soffrire. Era bravo, per carità; e sono tante le sue interpretazioni nella mia collezione di dischi, CD e DVD. Ma quel suo rinchiudersi in se stesso, quel dirigere ad occhi chiusi e con movimenti plateali e quasi coreografici delle mani e delle braccia, come se l’’orchestra fosse un accessorio superfluo della sua visione e, non da ultimo, i suoi trascorsi nazisti, me lo rendevano antipatico.

Tutt’’altra cosa era la cordiale bonomia di Bernstein, il suo saltellare sul podio e il suo complice ammiccare verso questa o quella sezione dell’’orchestra, la sua capacità di divulgatore, la sua apertura verso ogni forma di espressione musicale. Anche Zubin Metha, più che dirigerla, dialoga con l’’orchestra: ricordo ancora una sua interpretazione della “Grande” di Schubert, al Barbican Center di Londra, alla testa dei Wiener Philharmoniker. Ero in prima fila, e seguivo affascinato ogni suo gesto, e i sorrisi e gli sguardi che si scambiava col Primo Violino e la Prima Viola.

Riccardo Muti l’’ho considerato a lungo troppo duro e accigliato; poi ne ho scoperto la capacità di autoironia, il grande amore per la didattica e la carica di simpatia che per tanto tempo il rigore e l’’inflessibile rispetto verso le partiture avevano messo in ombra. E c’’erano, ovviamente, le differenze nell’’approccio all’’interpretazione: la secca precisione metronometrica di Toscanini contrapposta ai romantici agogismi di Fürtwangler, la fluidità vellutata e quasi morbosa dei suoni ricercata da Karajan e le insopportabili americanate di Stokowski.

…Insomma, tante personalità, tanti approcci, tanti stili. Di ognuno ho imparato a riconoscere e apprezzare l’’approccio alle partiture.

Ma su tutti, da subito, ha dominato la sua figura: non era, per me, “un” direttore d’’orchestra: era “il” direttore d’’orchestra.

Claudio Abbado, come tutti i grandi italiani, era poco italiano. Rigoroso, attento, meticoloso, scrupoloso, di una rara profondità culturale -– e non solo in campo musicale -– era tuttavia capace di sorridere. E nel suo sorriso c’’era una tale sincerità, una tale carica di umanità, che nessuno, amante della musica, poteva riuscire a non volergli bene.

Fra le innumerevoli, incredibilmente belle e indimenticabili sue interpretazioni (delle sole Sinfonie di Beethoven dirette da Lui ho ben tre raccolte, due in CD e una in DVD) una, leggerissima, dà la misura della sua capacità di comunicare amore per la musica. E non mi riferisco alla pur incantevole esecuzione del Pierino e il lupo di Prokofiev in compagnia di Roberto Benigni. Era il primo gennaio di tanti anni fa: dirigeva il tradizionale Concerto di Capodanno, con i Wiener Philharmoniker, da Vienna.

Tanto per cominciare decise di superare la tradizione, in auge fin dai tempi di Willi Boskowsky, che imponeva di eseguire solo musiche degli Strauss: una tradizione che rischiava di diventare liturgia. Eseguì, ricordo, anche brani di Suppè. Ma il momento culminante fu il finale, con la tradizionale esecuzione della Marcia di Radetzsky. Come da tradizione, alle prime note il pubblico cominciò a battere il ritmo con le mani. Lui si girò e fra lo stupore generale, imperiosamente ma ammiccando, impose il silenzio. Poi, al momento culminante, tornò a girarsi e con un sorriso luminoso sulle labbra e negli occhi diede al pubblico il segnale; e lasciando che l’’orchestra continuasse da sola lo diresse, il pubblico, in un battimani dal ritmo impeccabile, in un perfetto unisono che diventò un’’ovazione entusiasta, quasi un delirio, alla fine del pezzo.

Claudio Abbado è stato fra i primi direttori, se non il primo, che, alla fine di un’’esecuzione, sono scesi dal podio e si sono uniti all’’orchestra per raccogliere l’’applauso del pubblico evitando -– diversamente, per esempio, da Karajan – ogni divismo e spocchioso protagonismo. Perché in Claudio Abbado, forse più che in ogni altro suo collega, la bacchetta era al servizio della Musica, quella con la “M” maiuscola.

Un servizio che diventava gioia. E lo si sentiva, e lo si vedeva. Abbiamo, oggi, grazie ai mezzi tecnologici, la fortuna di poter seguire un concerto come se fossimo membri dell’’orchestra: è in questo modo che, spesso, ascolto in DVD la Quinta di Beethoven diretta da questo gigante: e mi emoziono, osservandone e ammirandone ogni gesto: il cenno d’’intesa col primo violino prima dell’’attacco, l’’ampio moto del braccio, il cenno del capo, quel suo caratteristico portare l’’indice alle labbra per chiedere un “piano”.

Oggi, purtroppo, Claudio Abbado ci ha lasciati. Ci mancheranno le interpretazioni che ancora, a dispetto degli anni e delle malattie contro le quali ha dovuto combattere, avrebbe potuto regalarci. Ci mancherà la sua immensa carica di umanità, ci mancherà il suo genio, ci mancherà la sua grandezza, ci mancherà il suo strenuo impegno per la diffusione della cultura musicale, in quest’’Italia inaridita e immiserita dal dominio di politici incolti, rozzi, volgari e insensibili; sempre pronti, quando si tratta di risparmiare, a togliere fondi proprio alla cultura, e in primis alla musica.

Addio e grazie, Maestro. Sarà banale, ma mi piace immaginare che ora, in quell’’Empireo dove le armonie sono sempre perfette, Wolfgang Amadeus, Ludwig, Franz Peter, Igor, Vincenzo, Johann Sebastian, Gioachino, Franz Joseph, Georg Friederich, Arnold, Giuseppe, Alban, Antonin, Richard; e tantissimi altri compositori di tutti i tempi siano tutti intorno a lei, Maestro, e chiamandola per nome si contendano il privilegio di sedere nella sua orchestra, e Le chiedano di prendere la sua bacchetta e dirigerli, come solo Lei sa e può, nei loro capolavori. “Claudio” le dicono: “sei sempre stato al servizio della nostra musica. Ora lascia che noi ti rendiamo il favore”. E Lei annuisce, sorridendo, e sale sul podio; e dà l’’attacco per una nuova, indimenticabile, perfetta e divina interpretazione.

Proprio come tutte le altre che ci ha regalato quaggiù.

Giuseppe Riccardo Festa

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