■Antonio Loiacono
Il silenzio dopo la tempesta! È calato il sipario sui palchi, i microfoni sono spenti, le piazze tornano vuote. Con decreto n. 1 del Vice Presidente della Giunta Regionale, in data 9 agosto 2025 sono state fissate le date del 5 e 6 ottobre 2025 per l’elezione del Presidente della Giunta e del Consiglio Regionale della Calabria. Dopo quasi due mesi di comizi, promesse e slogan, la Calabria entra nel suo silenzio elettorale. È un silenzio denso, quasi sospeso, come quello che precede un temporale o una resa dei conti. Domenica 5 e lunedì 6 ottobre, dalle 7 alle 23 nel primo giorno e fino alle 15 nel secondo, si apriranno le 2.406 sezioni elettorali della regione.
Sono 1.888.368 gli elettori aventi diritto al voto, qualche migliaio in meno rispetto al 2021, quando gli iscritti erano 1.890.732. Ma il dato che pesa come un macigno è un altro: solo il 44,36% si recò allora alle urne. Meno di un calabrese su due. Un popolo intero che, nel giorno della scelta, preferì il silenzio al voto.
L’astensionismo, in Calabria, non è un incidente statistico. È una malattia cronica, un sintomo di sfiducia, di disillusione, di lontananza. Ma dietro quella percentuale fredda ci sono due realtà diverse: chi sceglie di non votare e chi non può.
Perché per le elezioni politiche gli italiani all’estero possono votare per corrispondenza, mentre per le regionali e le amministrative — dove si decide spesso il destino dei territori d’origine — quel diritto si dissolve come nebbia al sole?
A sollevare il tema era stato, qualche anno fa, il collettivo Valarioti, che tentò di aprire uno spiraglio con un’iniziativa civica e un paio di disegni di legge rimasti impantanati nei meandri della politica. Nulla di fatto. E così migliaia di calabresi emigrati, studenti e lavoratori lontani, continueranno a restare esclusi da un voto che, paradossalmente, potrebbe riguardarli più di chi è rimasto.
Negli ultimi dieci anni, la Calabria ha perso una fetta enorme della sua popolazione attiva. Giovani, famiglie, professionisti, studenti: un esodo silenzioso e continuo, una migrazione che non si misura più solo in biglietti di sola andata, ma in voti mancati, in destini altrove.
Immaginiamo per un momento che un quarto degli astenuti non sia formato da persone indifferenti alla politica, ma da cittadini impossibilitati a votare, costretti a vivere lontano dalla propria terra per necessità più che per scelta.
In uno scenario del genere, l’esito delle urne, la rappresentanza democratica e persino la prospettiva politica della Calabria potrebbero assumere contorni completamente diversi.
Forse, a cambiare, sarebbe tutto l’equilibrio stesso della partecipazione e del potere.
E allora la domanda diventa inevitabile: di quale democrazia parliamo, se una parte del suo popolo non può esercitare il diritto più fondamentale di tutti?
Mentre si discute di liste, alleanze e seggi, nessuno sembra interrogarsi su questo vuoto di rappresentanza. La politica, sia locale che nazionale, preferisce il calcolo alla coscienza, la promessa al progetto. E intanto, la Calabria continua a svuotarsi, non solo di cittadini, ma di fiducia, partecipazione, futuro.
I candidati hanno riempito le piazze, ma chi riempirà domani le urne? Si parla di sviluppo, di lavoro, di legalità, ma pochi hanno il coraggio di dire che senza una riforma del voto e una vera attenzione agli emigrati, la democrazia calabrese continuerà a essere una voce strozzata, una melodia incompiuta.
Eppure, nonostante tutto, ogni elezione porta con sé una piccola scintilla. Domenica mattina, alle 7, le urne si apriranno come porte di possibilità. Ogni scheda infilata nell’urna sarà un atto di fiducia — fragile, solitario, ma necessario.
La Calabria, terra di partenze e di ritorni, sa che ogni voto pesa più di quanto sembri. Perché votare qui non è solo scegliere un presidente o un consiglio regionale. È decidere se credere ancora in sé stessi.
Quando, lunedì 6 ottobre alle 15, le urne si chiuderanno, resterà nell’aria un silenzio diverso da quello di oggi. Sarà il silenzio dell’attesa, ma anche quello della consapevolezza.
Perché il vero esame non sarà sui numeri, ma sulle coscienze.
E la domanda, semplice e terribile, sarà sempre la stessa: quante voci la Calabria potrà davvero contare, e quante continueranno a restare senza voce?
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