Borghi? Puntare su politiche rivolte a territori più ampi.  

Il tema è che il progressivo calo della popolazione in queste aree

L’Italia è piena di micro-centri urbani. Del resto, circa il 70% dei Comuni lungo la penisola è abitato da meno di 5.000 abitanti. I Primi cittadini sempre più spesso sono chiamati a gestire in solitaria il grave problema dello spopolamento e a trovare soluzioni efficaci alla diminuzione della popolazione. L’Istat ha di recente fotografato la geografia delle “aree interne”, definendole una “organizzazione fondata su piccoli centri, spesso di infinitesimali dimensioni, in grado di garantire ai residenti una limitata fruibilità dei servizi essenziali”. 

Il tema è che il progressivo calo della popolazione in queste aree, avrà inevitabilmente un impatto geografico sul tessuto economico e sociale del nostro Paese. Insomma, le imprese avranno sempre più difficoltà a trovare forza lavoro e, altresì, i bilanci dei piccoli Comuni dovranno faticare abbastanza per incassare un gettito dalle tasse in grado di garantire l’erogazione dei servizi pubblici ai cittadini del posto. Seppure alcune specifiche misure per tentare di incrementare l’attrattività di questi territori siano già in campo, le stesse, ahimè, non bastano mica. Un esempio concreto è rappresentato dalle risorse del Pnrr per creare nuovi servizi infrastrutturali e migliorare quelli esistenti. Si tratta dei 180 milioni, destinati a circa 1.200 Comuni definiti: “marginali, nell’ambito della strategia di coesione territoriale. 

Purtroppo, tali politiche soffrono di una limitazione di fondo: sono rivolte ai singoli Comuni e non ai territori nel loro insieme. Cioè sovvenzionano, puntualmente, alcuni Comuni, ma non assegnano nulla ai Comuni limitrofi con caratteristiche simili. 

Manca, allora, una visione sistemica per aree. Un lavoro che a macchia di leopardo può tornare utile, ma non riuscirà a risolvere il problema dello spopolamento per aree omogenee. Non si assiste, quindi, ad un lavoro di riequilibrio, di ricostituzione di un tessuto sociale ed economico che non può essere sostenuto solo dal singolo Comune, beneficiario delle risorse con tutto il rispetto delle sue capacità progettuali. 

Sarebbe necessario, innanzitutto, misurare i divari territoriali per conoscerli a fondo, monitorarli e per implementare politiche ad hoc che abbiano, almeno, tali caratteristiche: essere di lungo periodo e ritagliate sui singoli territori. Giacché la sfida è costruire una misura della criticità socioeconomica e demografica di più territori omogenei in modo che risulti accurata, multidimensionale e costantemente aggiornata. 

Nicola Campoli

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