ADVERTISER, SPEAK THE WAY YOU EAT! (pubblicitario, parla come mangi)

Non ne posso più dell’inglesorum che imperversa ormai dappertutto.

Non è che io voglia muovermi sulla scia del nuovo governo che ha creato il ministero dell’autarchia alimentare per cui, colti da impeto patriottico, d’ora in poi non mangeremo più sushi, kebab, involtini primavera, gulash, chili con carne e altre illecite prelibatezze d’oltre mare, visto che, per decreto ministeriale, sugli italici deschi saranno ammessi solo minestre di farro, di ceci o di fave e poco altro, perché anche spaghetti, pomodori, fagioli, patate, cacao, caffè, peperoni, peperoncino piccante, grano e riso, in tempi più o meno recenti sono stati importati dall’estero.

Dunque, dicevo, non è che io pure sia stato colto da un impeto nazional-sciovinistico come i vincitori delle recenti elezioni, i quali petto in fuori e pancia in dentro (molto in dentro: praticamente vuota, visto quanto precede) oppongono patriottiche, per quanto scipite minestre ai perfidi pur se gustosi piatti demo-pluto-giudaico-massonici d’importazione.

No, non si tratta di questo. Non voglio promuovere l’autarchia linguistica. In certi settori e attività come ad esempio tennis, informatica ed elettronica, l’uso di terminologia specialistica è inevitabile.  E non ho bisogno di rivolgermi all’Accademia della Crusca per apprendere che una lingua è una cosa viva e che gli scambi fra gli idiomi sono una cosa normalissima.

Ma, come diceva lo scocciato Marco Tullio al subdolo Catilina, est modus in rebus, vale a dire quando è troppo è troppo.

Non ne posso più dei fanatici dell’economia green (verde), quelli che per il meeting (convegno, assemblea, riunione) hanno un team (squadra, gruppo) che ti indica la location (sede, luogo) dove il leader (presidente, capo, segretario, responsabile, fondatore), che magari è il premier (presidente del consiglio, capo del governo) si rivolgerà all’audience (pubblico, spettatori, partecipanti, presenti) illustrando la partnership (collaborazione) o la membership (partecipazione) a un team (gruppo, squadra) di finance project (programmazione finanziaria) destinata al welfare (benessere, assistenza sociale). Non ne posso più di e-commerce (commercio elettronico), di killer (assassini), spesso serial (seriali); nel linguaggio calcistico, che già detesto per il semplice fatto che esiste, detesto ancor di più sentir parlare di assist (passaggi) di cross, di off-side, corner e penalty (traversone, fuori gioco, calcio d’angolo e calcio di rigore).

E perché Rai Radio Due, per ricordarti che sei su Rai Radio Due, sente il bisogno di far dire da una debitamente sexy e imbronciata voce femminile (tipo quelle che concludono la pubblicità dei profumi) “One, two; one, two, Radio Due”, manco ti stesse ricordando che ne hai già fatte due (decisamente frettolose, in verità) e che si aspetta che t’impegni per la terza? O forse questa pur benemerita emittente radiofonica vuole renderci edotti dei suoi clamorosi progressi in aritmetica, mostrandoci di saper contare fino a due? Ma perché in inglese?

Non parliamo poi della pubblicità, tipo le pompe di calore Ferroli: con una voce che Alberto Lupo e Giancarlo Giannini gli spicciano casa, lo speaker (annunciatore) conclude l’annuncio informando che Ferroli è smart living revolution. E poi ci sono i prodotti designed for wellness: uno pensa mamma mia, che sarà mai? Una struttura fantascientifica che guarisce ogni malattia? Un giardino magico che fa superare ogni affaticamento e ogni turba psichica? Maddeché: sono cuscini e materassi.

Che cosa credono di ottenere, i pubblicitari che concludono gli spot (annunci) con queste frasi inutilmente quanto lapidariamente burine? Non si accorgono di essere pateticamente e ridicolmente provincialotti? Cosa credono di aggiungere alla qualità del prodotto reclamizzato, appiccicando all’annuncio questi anglosassoni epitaffi? Mi fanno pensare a quei preti che rimpiangevano la messa in latino perché, dicevano, permeava il rito di un’aura di mistero se non di magia e soggiogava il povero fedele ignorante.

Ti viene quasi quasi da dire: è meglio la pubblicità di Poltrone&Sofà, con tutti i suoi sconti fino a domenica, le sue promozioni che finiscono lunedì e l’inverecondo accento romagnolo dei suoi finti artigiani (che se sono bravi a fare i divani come a recitare, meglio sedersi per terra che su un loro divano)

Ma poi ti dici: vabbè, non esageriamo.

Giuseppe Riccardo Festa.

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