Con un meraviglioso oro alla pallavolo femminile, per quanto riguarda l’Italia, cala il sipario sulle Olimpiadi di Parigi, di cui tanto si è parlato e tanto ancora si parlerà, nel bene e nel male; e anche io, tirando un po’ di somme, ne voglio parlare.
Voglio parlare della commozione che ho provato vedendo arrivare al traguardo non la prima, non la seconda e nemmeno la terza, ma la cinquantesima, e poi la settantesima delle partecipanti alla maratona femminile. Voglio parlare delle loro lacrime e dei loro sorrisi, della gioia stremata che avevano negli occhi e dei baci che mandavano al pubblico, il meraviglioso pubblico dell’atletica che dai bordi del percorso le ha applaudite e incoraggiate tutte.
Voglio parlare di tutti i partecipanti alle gare, gli scattisti e i fondisti, quando dopo essersi battuti sul filo di lana per strappare una vittoria poi si sono abbracciati, dal primo all’ultimo, indifferenti al colore della loro pelle, alle diverse lingue che parlavano e alle nazionalità che rappresentavano.
Voglio parlare delle lacrime della giovanissima nuotatrice della coppia canadese del sincronizzato, disperata per aver sbagliato un paio di movimenti alla fine dell’esibizione, e dell’abbraccio della sua partner e delle sue allenatrici che la consolavano; e poi delle lacrime di incontenibile gioia di tante atlete e tanti atleti che sul primo gradino del podio sentivano suonare per loro, proprio per loro, il loro inno nazionale, ma poi hanno invitato a salire su quel gradino i secondi e i terzi, in un abbraccio fraterno.
Voglio parlare dei tanti quarti posti italiani – cito a memoria Larissa Iapichino, Simona Quadarella, Mimmo Acerenza, Mattia Fulani, Benedetta Pilato, la 4×100 maschile – che non significano sconfitta ma significano sforzo, fatica, impegno, dedizione, e poi chissenefrega se qualcun altro ci ha messo un centesimo di secondo di meno, o ha saltato qualche centimetro in più, e chissenefrega se tanti stupidi non capiscono che si può essere felici anche arrivando quarti, perché quegli stupidi guardano i tre che sono arrivati prima di loro senza vedere le diecine di altri che sono arrivati dietro.
Voglio parlare della felicità della pallavolista italiana mora Paola Egonu che felice stringe a sé l’italiana bionda Ekaterina Antropova; dell’italiana palermitana Myriam Sylla che dopo la vittoria corre in lacrime ad abbracciare il padre (e cosa c’è di più italiano di una figlia che condivide col padre una gioia così grande?); voglio parlare degli occhi lucidi di tutte – tutte! – le meravigliose pallavoliste italiane – more, castane, bionde, chiare, scure, mentre cantavano a squarciagola il loro amato inno nazionale; voglio parlare del grande italiano Julio Velasco, che ha creato quel gruppo straordinario, che parla con la saggezza di chi sa veramente che cosa è lo sport, e chissenefrega se è nato in Argentina.
E poi voglio parlare degli altri vincitori di medaglie, fra loro tante donne, ma anche di chi non ha vinto niente, di chi ha fatto di tutto per esserci, a dispetto dei suoi acciacchi, ed ha dovuto arrendersi, come Marco Tamberi, che però aveva dimostrato tutta la sua sportività correndo in soccorso di Barshim, suo amico prima che avversario, che si era fatto male a una gamba.
Voglio parlare di Manizha Talash, l’atleta afghana ingiustamente e assurdamente squalificata dal CIO per aver osato esibire, sulla maglia, il diritto all’istruzione e allo sport delle donne del suo Paese. E voglio parlare di Imane Khelif, la pugile algerina che per rivendicare il suo diritto a partecipare come donna, perché donna lei è, alla competizione olimpica, ha dovuto combattere con gli imbecilli e i leoni da tastiera (molti fra i quali altolocati quanto ignoranti e saccenti) prima che con le sue avversarie.
Insomma, voglio parlare dello spirito olimpico, che ho visto in tanti atleti di tutte le nazionalità, inclusa la nostra, ma non ho visto in tanti politici, non pochi dei quali, purtroppo, anche loro di casa nostra.
Non mi sogno nemmeno di parlare di quel politico saccente, razzista e ignorante che insiste a giudicare l’italianità delle atlete guardando il colore della loro pelle e i loro tratti somatici: non ce n’è bisogno, e non ne vale la pena, e sbagliano i troppi giornali che si affrettano a diffondere le idiozie che dice come se fosse un oracolo, e non un ignorante razzista e saccente. Quel politico, e gli altri come lui, non meritano il fiato che costa pronunciare il loro nome.
Il fiato è meglio usarlo per dire, semplicemente, grazie: grazie a tutte e a tutti gli atleti che hanno mostrato il valore dell’impegno, della dedizione, della ricerca della perfezione, e che indossando la maglia azzurra hanno dato l’anima per onorare il loro Paese, quale che sia il risultato che hanno ottenuto. Quell’azzurro, queste e questi meravigliosi atleti, ce l’hanno nel cuore. Quel politico e gli altri come lui, al posto del cuore, hanno invece un mucchietto di materia organica.
E non ho bisogno di spiegare di quale materia organica si tratta.
Giuseppe Riccardo Festa
Views: 112
Lascia una risposta
Devi essere connesso per inviare un commento.