Il Vaticano, dunque, si è accorto che ci sono casi in cui insistere nel tenere in vita chi di vivere non ne può più diventa un disumano accanimento. Bene, monsignori: benvenuti nel mondo della realtà. Meglio tardi che mai, per quanto la vostra apertura – o vogliamo chiamarla resa? – sia molto parziale ed eccessivamente prudente.
Resta il fatto che in uno Stato normale, laico e civile, i legislatori non dovrebbero aspettare il permesso di un’entità terza per decidersi a riconoscere ai cittadini il diritto di disporre della propria vita. Ma si sa che l’Italia è tutt’altro che normale, poiché troppi suoi legislatori sono ben poco laici e di conseguenza scarsamente civili.
Sono scarsamente civili prima di tutto proprio perché non sono laici. Sia ben chiaro: “laico” non significa “ateo” e nemmeno “anticlericale”. Laico è chi tiene ben distinto l’ambito delle norme di convivenza civile (appunto) da quello delle convinzioni religiose. Il cattolicissimo Oscar Luigi Scalfaro, per esempio, contestò, durante la stesura della Costituzione, che nel testo della Carta si inserisse il riferimento al Concordato con la Chiesa cattolica, che non aveva e non ha nulla da spartire con l’enunciazione dei principî fondamentali che regolano il funzionamento della Repubblica.
Sono scarsamente civili, quei legislatori, anche in quanto si permettono di trattare i loro elettori come bambini perennemente affetti da minorità, incapaci di prendere decisioni autonome e da pilotare e guidare nel corso della loro intera esistenza.
Se l’Italia fosse un Paese davvero civile, la cosiddetta apertura del Vaticano sarebbe vista come un’indebita ingerenza nel processo di formazione delle leggi, che nessuna entità terza si deve permettere di voler influenzare. Cosa direbbe Matteo Salvini, tanto per fare un nome, se il capo della comunità islamica italiana (ammesso che ne esista uno) si permettesse di dare indicazioni e suggerimenti al Parlamento italiano?
Il Vaticano ha tutto il diritto di fornire indicazioni ai cattolici, ma non si deve permettere di interferire con le attività del Parlamento e i parlamentari non devono lasciarsi condizionare da quelle indicazioni nel momento in cui prendono decisioni che riguardano l’intera comunità nazionale. D’altra parte, essi si dimostrano molto flessibili, al riguardo, quando a loro fa comodo. Il già citato Matteo Salvini, per esempio, si professa credente, anzi, fervidamente credente, ma ciò non gli impedisce di convivere more uxorio con una donna dopo aver avuto esperienze analoghe, con tanto di prole, con altre donne. Anche la “madre e cristiana” Giorgia Meloni non si è sposata col padre di sua figlia, Silvio Berlusconi ha collezionato mogli più o meno sposate, Pierferdinando Casini è alla terza convivenza, e l’elenco potrebbe continuare; cosa dire, ancora, del modo in cui questi “cristianissimi” politici affrontano il problema delle migrazioni, del loro razzismo e della loro indifferenza verso la sofferenza di tanti esseri umani? Insomma, i politici che più strenuamente difendono le “radici cristiane” della nostra società sono i primi, quelle radici, a ignorarle quando a loro fa comodo, salvo pretendere di imporne taluni spuntoni non solo ai cristiani più o meno autentici come loro ma anche a chi cristiano non è.
Ben venga insomma la cosiddetta apertura del Vaticano. Ben venga anche se, ripeto, in realtà si tratta di un’indebita ingerenza, se servirà a dare la sveglia ai politici nostrani. Ma resta l’amaro in bocca dovendo constatare che ancora oggi, a dispetto di una laicizzazione ormai conclamata della società, la classe politica insiste a guardare verso il Cupolone, anziché verso i primi tre articoli della Costituzione, per decidere cosa fare o, come nel caso in questione, cosa non fare.
Resto infatti convinto che, Vaticano o no, i politici “cristiani” continueranno a far finta che il problema non esista e a lasciar soffrire chi non ne può più, o a costringerlo a cercare altrove, o nella complice solidarietà di un medico e di chi lo ama, il modo di porre fine alle sue sofferenze.
Giuseppe Riccardo Festa
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