IL PREMIERATO: UNA POLITICA SCREDITATA RIVENDICA IL DIRITTO DI SFASCIARE L’ITALIA

È davvero utile, opportuno e necessario assicurare la stabilità del governo “scelto dal popolo”? Secondo il postulato sul quale si basa il progetto meloniano del premierato, il Presidente della Repubblica non deve più avere il potere di cercare in Parlamento possibili maggioranze a sostegno di un governo, qualora cada quello risultante dalle elezioni politiche. Questo postulato si basa sul presupposto che i cittadini, andando a votare, debbano decidere chi debba essere il capo del futuro governo, capo che comunque deve appartenere al Parlamento.

Il problema è che questo postulato, stando all’architettura della Costituzione modellata dopo le tragedie del Ventennio fascista, durante il quale c’è stato appunto un capo del governo che tutto poteva e tutto decideva, è del tutto errato. I Costituenti infatti vollero far nascere una Repubblica parlamentare, non una presidenziale, proprio per prevenire il rischio che si ripetesse il fenomeno del “ducismo”, che di fatto la riforma meloniana vorrebbe ripristinare.

Secondo l’attuale assetto costituzionale, spetta sì, ai cittadini, eleggere i propri rappresentanti in Parlamento, ma spetta poi a quest’ultimo esprimere la maggioranza che dovrà sostenere il governo, la cui nomina è di competenza del Presidente della Repubblica, che ha il dovere di cercare quella maggioranza e solo se non la trova deve indire nuove elezioni. Il capo del governo, inoltre, può essere un qualunque cittadino maggiorenne in possesso dei diritti di elettorato passivo: questo, lo ripeto, prevede attualmente la Costituzione. La riforma meloniana, a dispetto delle rassicurazioni dei suoi sostenitori, svuoterebbe la figura del Presidente della Repubblica delle sue prerogative fondamentali, in quanto egli non avrebbe più il potere di nominare il Presidente del Consiglio né quello di sciogliere le Camere; egli perderebbe inoltre anche il potere di nominare i senatori a vita.

Secondo il progetto meloniano, bisogna assolutamente evitare i cosiddetti ribaltoni, ossia la nascita di governi che non siano immediata espressione del voto parlamentare, e bisogna assolutamente che il capo del governo appartenga alla classe politica. Senonché questa presunta esigenza è recisamente smentita dalla storia della Repubblica, in particolare quella degli ultimi vent’anni, con un’ulteriore conferma offerta dagli eventi di questi giorni: quella classe politica che, secondo il progetto di Meloni è la sola ad avere il diritto di esprimere il Capo del governo e pretende di imporsi come unica possibile titolare del potere esecutivo,  ancora una volta, come ai tempi di Tangentopoli e poi dei governi Berlusconi, si sta dimostrando corrotta, disonesta, inetta, ignorante, meschina, autoreferenziale e miope.

L’insofferenza di Meloni e dei suoi cortigiani nei confronti dei cosiddetti ribaltoni è ampiamente smentita proprio dalla storia dei ribaltoni, che si sono resi più volte necessari in momenti critici in cui le inadeguatezze della classe politica rischiavano di sprofondare il Paese nella catastrofe: per questo sono nati i governi tecnici, guidati da personalità come Carlo Azeglio Ciampi, Lamberto Dini,  Mario Monti e Mario Draghi, personalità fino a quel momento estranee alla politica ma, diversamente dai politici, stimate, rispettate e perfino ammirate in Italia e nel mondo: in pratica, chiamate a risolvere i pasticci provocati da quella classe politica che ora, proprio mentre i suoi limiti e le sue miserie tornano alla ribalta, pretende di decidere essa sola il presente e il futuro del Paese.

La riforma voluta da Meloni sicuramente supererà il previsto doppio voto di Camera e Senato, poiché i parlamentari della maggioranza sognano anch’essi, come la loro leader, un ritorno all’autoritarismo. A ben guardare, ripensando alle performance cui Mussolini era solito abbandonarsi durante i suoi comizi, oltre all’autoritarismo si può rilevare un altro punto di contatto fra lui e Giorgia Meloni, anch’essa prodiga di frasi vuote di contenuto ma di sicuro effetto, oltre che di smorfie, facce, scene e scenette, ogni volta che si esibisce in pubblico, degne di un interprete di farse popolari. Solo che l’Italia non ha bisogno, alla guida del governo, di attori di dubbio talento, ma di persone serie, autorevoli, competenti, colte, misurate, pacate e soprattutto lungimiranti.

Vedremo, quando si tratterà di votare al referendum per questa sciagurata riforma, se gli italiani – che questa classe politica la disprezzano, e lo dimostrano disertando le urne – se ne ricorderanno o se decideranno ancora una volta, dopo Mussolini, Berlusconi, Renzi, Grillo (per interposto Conte), Salvini (quasi) e ora Meloni, di continuare a farsi governare da mediocri attori da avanspettacolo.

Giuseppe Riccardo Festa

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