Verso Sud. Cariati: racconti di emigrazione

Mi dicono che non sarebbero più capaci di tornare alle origini

È arrivato venerdì e finalmente vado incontro all’ambito e intramontabile fine settimana. Gli ultimi giorni, prima della rituale pausa ferragostana, sono sempre quelli che si presentano più pesanti a passare. 

Lascio l’ufficio, poco prima delle ore 14.00 in centro città a Napoli, diretto alla stazione centrale. La mia meta è Cariati, piccolo comune del basso ionio cosentino, dove è in vacanza la famiglia. 

Un territorio incantevole e dai tratti ancora molto naturali. Dove sapori, profumi e saperi si mescolano in modo perfetto tra di essi, creando una magia unica e particolarmente avvolgente, dalla quale vieni catturato sin dal primo momento che ci metti piede. 

Questa parte del nostro basso Stivale è servita molto male, meglio dire proibitiva, dalla linea ferroviaria. Mancano le infrastrutture viarie che renderebbero più facile il raggiungimento dell’area. 

Allora opto per il servizio pullman, settore dei trasporti dove è arrivata a dettare il mercato addirittura, da meno di un anno, la multinazionale tedesca riconosciuta dal colore simbolo verde. Una scelta che la dice lunga sull’arretrato Mezzogiorno d’Italia. 

Incrocio prima di salire a bordo un po’ di viaggiatori in attesa, che hanno scolpito sui propri volti le meritate vacanze. Ebbene mi trovo a viaggiare, mi era già capitato nelle settimane precedenti, di fianco a una famiglia che alla prima apparenza non mi è sembrata italiana. Dal loro accento ho pensato che provenissero dal Nord Italia, in viaggio verso il luogo del loro meritato riposo. Sono giovanissimi con una bambina dagli occhioni vispi di poco meno di otto anni. 

Ascolto i loro dialoghi e mi incuriosisco immediatamente alle parole che si scambiano. Mi accorgo subito che mi sono sbagliato e anche di tanto. Comprendo dai loro racconti che sono originari della Calabria e proprio del paese dove sono diretto. Chi l’avrebbe mai detto. Insomma, il loro accento ormai ha perso ogni flessione locale. La loro figlia parla entrambe le lingue, ma con l’italiano fa più fatica. In casa mi raccontano che si parla rigorosamente la lingua madre. 

Ciò mi fa riflettere e immaginare su come ormai mischiare le nazionalità è un gioco da bambini, in un mondo sempre più globalizzato. La coppia lavora in Germania e si sono conosciuti oltre confine. I loro genitori sono emigrati nei lontani anni settanta, quando allora come oggi la ricerca di un impiego stabile si palesa sempre con difficoltà irrisolvibili. 

Si sono sposati da qualche anno e sono molto contenti di vivere lì. Non fanno che raccontarmi degli innumerevoli servizi pubblici di cui possono disporre, a confronto di una parte d’Italia, quella in questione, che abbandonata è dir poco. Me lo ripetono sino ad esasperare il fenomeno. È paradossale che non ci sono termini di paragone. Infatti, visto l’andazzo locale è impossibile fare minimamente un confronto. 

Mi raccontano di un sistema scolastico che prepara i bambini sin da piccoli al domani. Coltivando e sviluppando da subito le predisposizioni e capacitá  che mostrano i più piccoli. Ponendoli subito al cospetto degli scenari futuri in tema di lavoro. 

Mi dicono che non sarebbero più capaci di tornare alle origini e che una volta dalle loro parti, solo qualche settimana d’estate e non sempre, resistono molto poco. Riscontrano una realtà sempre più arretrata, dove tutto è restato immobile da quando sono partiti, se non con evidenti passi indietro rispetto alla loro adolescenza.  

Vedono i loro luoghi di origine senza alcuna speranza. Denunciano un’assuefazione di chi ci vive sempre più al peggio. La circostanza mi fa capire che ormai non si sentono più italiani se non per l’anagrafe. Non so cosa pensare. Comunque come dargli torto visto il contesto circostante. 

E allora, mi domando, quando riusciranno i nostri amministratori centrali e locali a fermare il triste fenomeno dell’emigrazione, che sembra a tutti gli effetti riprendere forza e vigore? 

Era sembrato che si fosse fermato, ma da quanto raccolto mi sembra addirittura aumentato. Lo spopolamento di molti piccoli paesi del Sud Italia è dovuto principalmente alla preoccupante circostanza, della quale sento parlare sempre meno come se fosse un problema solo apparente. 

Forse è arrivato il momento di fare sul serio. Mi sbaglio? 

Nicola Campoli

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