Venti anni da … Marco Biagi

Il 2022 rappresenta un ventennale doloroso

Quello dell’assassinio di Marco Biagi rappresenta il delitto per mano terroristica – l’ultimo in ordine di tempo delle Brigate Rosse – che più mi rattrista, seppure quest’anno la ricorrenza segna ben venti lunghi anni. Tutto avvenne tragicamente la sera del 19 marzo 2002, la tradizionale giornata della festa del papà. Fu ucciso a Bologna sotto i portici mentre rincasa a casa in bicicletta.

Il 2022 rappresenta un ventennale doloroso. Sará però l’occasione – lo speriamo in tanti – per ricordare un uomo e il suo lavoro, che è stato a lungo infangato e anche dimenticato dalle istituzioni. La riforma del giuslavorista, Marco Biagi, puntava a migliorare la vita dei lavoratori invisibili, di quelli pagati in nero e senza tutele.

Lui era diventato a soli 28 anni professore universitario in Calabria, costruendo un rapporto di amicizia con i suoi studenti. Aveva toccato con mano quanto fosse difficile trovare una strada in campo lavorativo. Il lavoro femminile inesistente, il lavoro nero quando c’era lavoro. Tutte queste cose se le è portate sempre dentro, fino a quando non si è trovato nel momento giusto, al Ministero del lavoro, per provare a fare qualcosa.

Era consapevole di essere in pericolo. Riceveva minacce. Ne aveva parlato con la moglie anche la sera prima di essere assassinato. Scriveva lettere in cui chiedeva che gli fosse ripristinata la scorta, ma nessuno rispondeva. L’allora Ministro dell’Interno, Claudio Scajola lo definì “un rompicoglioni”. Sua moglie non volle i funerali di Stato.

Marco aveva chiesto aiuto tutti. La cosa assolutamente incredibile è che un uomo al vertice della Polizia sostenne che non esisteva il pericolo delle Brigate Rosse, quando tre anni prima era stato ucciso Massimo D’Antona e gli assassini erano liberi. Solo negli anni avvenire la famiglia ha ricevuto le scuse dalle istituzioni e una solidarietà enorme da parte della società civile.

Per l’assassinio di Marco Biagi sono stati condannati all’ergastolo Diana Blefari Melazzi, Roberto Morandi, Nadia Desdemona Lioce e Marco Mezzasalma. È stato sciagurato sostenere che Marco Biagi fosse il padre della precarietà. È una lettura ignorante del suo lavoro, un gioco politico identico a un tritacarne.

Il lavoro di Marco Biagi è stato l’esatto contrario. Voleva fare emergere le persone dal lavoro nero. Voleva che ci fossero degli ammortizzatori sociali fra un impiego e l’altro. Cercava di dare tutele a categorie di lavoratori che non erano mai stati nemmeno riconosciuti come tali.

Nicola Campoli

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