UNIVERSITÀ MAGNA GRAECIA DI CATANZARO: CORRUZIONE, INGANNI E SPERIMENTAZIONI CRUDELI. UN DISASTRO PER LA CALABRIA

Università Magna Graecia Catanzaro

Antonio Loiacono

Ci sono vicende che gettano un’ombra inquietante sulle istituzioni accademiche, minando la fiducia non solo degli studenti e dei ricercatori, ma dell’intera comunità. L’inchiesta giudiziaria che ha travolto i vertici dell’Università Magna Graecia di Catanzaro e dell’Azienda sanitaria provinciale rappresenta una delle pagine più buie per la Calabria e per il mondo della ricerca scientifica in Italia.

Le accuse sono di una gravità estrema: associazione per delinquere, corruzione, falso, truffa aggravata ai danni dello Stato, maltrattamento e uccisione di animali. I vertici accademici, che avrebbero dovuto rappresentare l’eccellenza ed il progresso della ricerca, si sarebbero invece macchiati di reati spregevoli, trasformando i laboratori in luoghi di sofferenza gratuita ed inganno sistematico. Un gioco sporco condotto sulla pelle di animali indifesi e sulle speranze dei cittadini, ai quali sono stati sottratti fondi destinati a progetti di grande rilevanza scientifica.

Sarebbero dovuti servire a trovare cure per gravi patologie come autismo, epilessia, obesità, cancro dell’ovaio e malattie cardiache, ma quei 17 progetti di ricerca finanziati con milioni di euro si sarebbero rivelati nient’altro che un meccanismo disonesto di corruzione. Le ispezioni dell’Asp nei laboratori sarebbero state “pilotate” per occultare irregolarità e garantire la continuità dei finanziamenti. Un sistema radicato che ha permesso a pochi di arricchirsi a discapito della collettività e della credibilità scientifica.

Tra i destinatari della misura cautelare degli arresti domiciliari c’è l’ex rettore Giovambattista De Sarro. Secondo gli inquirenti, per quasi un decennio, all’interno del campus universitario avrebbe operato indisturbata una vera e propria associazione a delinquere. A capo di questa organizzazione ci sarebbe stato proprio l’ex rettore De Sarro.

Secondo la ricostruzione della pubblica accusa, De Sarro avrebbe dato precise disposizioni sulle modalità di svolgimento delle attività di ricerca, che avrebbero comportato gravi violazioni a danno degli animali coinvolti nei progetti. Inoltre, avrebbe orchestrato un sistema di rendicontazione falsificata per occultare i presunti illeciti.

L’ex rettore avrebbe inoltre autorizzato attività di ricerca in vivo nonostante le gravi carenze strutturali e igienico-sanitarie presenti negli stabulari dell’Ateneo. Venuto a conoscenza delle indagini, avrebbe cercato di interferire con le testimonianze, tentando di ottenere informazioni utili a sviare le indagini e convincere i testimoni a ritrattare le dichiarazioni rese.

Gli inquirenti sostengono che De Sarro avrebbe mantenuto “uno stabile rapporto corruttivo con il direttore del Dipartimento di Prevenzione dell’Asp Veterinaria di Catanzaro, Giuseppe Caparello, con l’obiettivo di occultare le attività illecite all’interno degli stabulari.” In cambio, Caparello avrebbe ricevuto benefici personali, tra cui il favoritismo nell’illegittima selezione della figlia Maria (anch’essa indagata) nel concorso per l’ammissione alla Scuola di Specializzazione in “Farmacologia e Tossicologia Clinica per laureati non medici”. L’alterazione dei punteggi sarebbe stata orchestrata da De Sarro e dalla presidente della commissione selezionatrice, Rita Citraro.

Nell’associazione avrebbero avuto un ruolo attivo anche diversi docenti e veterinari:

Domenico Britti, presidente dell’Organismo Preposto al Benessere Animale e fino al 2023 della Scuola di Farmacia e Nutraceutica;

Ernesto Palma, Rita Cetraro, Antonio Leo, Valeria Maria Morittu, docenti dell’Ateneo;

Anselmo Poerio e Giuseppe Viscomi, veterinari dell’Asp;

Giovanni Loprete, Fabio Castagna e Nicola Costa, veterinari designati per gli stabulari.

Gli investigatori avrebbero scoperto che le ispezioni nei laboratori venivano concordate anziché eseguite a sorpresa, i verbali risultavano falsificati e i controlli previsti dalla legge venivano omessi. In cambio, l’università avrebbe garantito incarichi e riconoscimenti ai veterinari compiacenti.

In particolare, il veterinario dell’Asp Anselmo Poerio avrebbe ricevuto numerosi incarichi di docenza da Britti e Morittu, che, nonostante fossero marito e moglie, operavano nello stesso dipartimento e, in almeno un caso, avevano fatto parte della commissione che gli ha conferito gli incarichi. Questi incarichi avrebbero fruttato a Poerio oltre 16.000 euro. Inoltre, lo stesso Poerio risulta coautore di numerose pubblicazioni scientifiche insieme a Britti e Morittu.

Gli stabulari dell’Ateneo di Germaneto e Roccelletta di Borgia erano caratterizzati da condizioni igieniche e ambientali gravemente carenti. Gli investigatori descrivono un quadro raccapricciante:

Animali vivi torturati, sbattuti violentemente contro il muro o decapitati senza anestesia;

Gabbie sporche e ambienti privi delle minime condizioni di igiene;

Uso di un numero di animali superiore a quello autorizzato per i progetti di ricerca;

Mancanza di registri di carico e scarico dei farmaci utilizzati.

Un testimone ha dichiarato: “Non sempre le procedure di soppressione venivano rispettate. Io personalmente procedevo alla soppressione solo se potevo sedare l’animale e ucciderlo secondo le procedure. Ho assistito, invece, a casi di decapitazioni di animali senza anestesia. Ciò creava stress negli altri ratti, che, percependo l’odore del sangue, si agitavano. Questo non solo è crudele, ma incide anche sui risultati scientifici, poiché gli animali stressati producono cortisolo, alterando le analisi.”

Un altro testimone ha raccontato che, in almeno un’occasione, per sopprimere un animale, “pare sia stato scagliato contro il muro”.

Le norme in materia prevedono un equilibrio tra la tutela della salute animale e le esigenze della ricerca scientifica, autorizzando l’uso di animali solo nei limiti approvati dal Ministero. Tuttavia, secondo le indagini, nei progetti sotto accusa sarebbero stati utilizzati più animali del consentito, e ogni uccisione al di fuori dell’autorizzazione ministeriale costituirebbe un reato. Inoltre, la mancata registrazione dei farmaci utilizzati configura ulteriori violazioni.

La Calabria, una terra già martoriata da inefficienza amministrativa e malaffare, subisce l’ennesimo schiaffo con questo scandalo. La ricerca scientifica, che dovrebbe rappresentare una via di riscatto per la regione, viene invece travolta da un’ondata di corruzione che rischia di affossare definitivamente ogni tentativo di sviluppo. Il danno non è solo economico: la reputazione dell’Ateneo e dell’intero sistema universitario calabrese ne esce distrutta, con conseguenze disastrose per i giovani che cercano un futuro nella propria terra.

Questo scandalo non colpisce solo l’Università Magna Graecia, ma rappresenta una ferita profonda per tutta la Calabria. In una terra già segnata da disoccupazione, mancanza di investimenti e difficoltà infrastrutturali, il settore della ricerca e dell’innovazione avrebbe potuto costituire una speranza concreta di rilancio. Invece, la malagestione e la corruzione hanno inferto un colpo durissimo alla credibilità delle istituzioni locali, generando un clima di sfiducia generalizzata.

I giovani talenti calabresi, che con sacrificio e determinazione cercano opportunità di crescita, si trovano ancora una volta a dover scegliere tra rassegnarsi ad un sistema malato o emigrare per poter costruire un futuro dignitoso. L’Università, che dovrebbe essere un luogo di formazione e progresso, rischia di trasformarsi nell’ennesimo simbolo di una terra incapace di trattenere e valorizzare le proprie risorse umane.

Davanti ad uno scenario così desolante, non possono esserci indulgenze. La magistratura ha il dovere di andare fino in fondo, punendo severamente chi ha trasformato un’istituzione pubblica in un centro di illeciti e sofferenza. Ma non basta: è necessario che la politica e la società civile prendano una posizione netta, chiedendo trasparenza, controllo e riforme radicali che impediscano il ripetersi di simili vergogne.

L’Università Magna Graecia deve ora intraprendere un percorso di ricostruzione morale e istituzionale, allontanando ogni ombra di complicità e ripristinando un minimo di dignità accademica. Solo così potrà sperare di riconquistare la fiducia degli studenti, dei ricercatori onesti e dell’intera comunità, che merita una Calabria diversa, libera dal malaffare e capace di esprimere il suo vero potenziale.

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