“Triage”: quella terribile parola francese.

Si rincorrono le notizie che parlano di selezione, negli ospedali, dei malati da ammettere alla terapia intensiva in caso di sovraffollamento. Si parla di anziani, malati e handicappati messi in fondo alla fila per dare la precedenza ai più giovani e a coloro che hanno maggiori probabilità di sopravivenza.

È una pratica che ha un nome, “triage”: una parola francese che significa “selezione”.

Non nascondiamoci dietro un dito: questa scelta, più o meno consapevolmente, è fatta sempre, nei momenti di maggiore urgenza: la fanno i medici militari durante le guerre, la fanno le organizzazioni umanitarie durante le grandi crisi alimentari, nei martoriati territori dell’Africa sub sahariana, la fanno i soccorritori quando si verificano grandi catastrofi naturali. È una scelta atroce, difficile e straziante ma inevitabile, imposta dalla sproporzione fra il numero delle persone da assistere e la quantità dei mezzi disponibili.

I medici che si vedono costretti a prendere queste terribili decisioni non hanno scelta, e per loro bisogna provare solo rispetto e ammirazione. È su altri livelli che bisogna alzare lo sguardo per esprimere sdegno e incredulità, e quei livelli sono inevitabilmente politici.

Quando scientemente la politica privilegia altre voci di spesa e penalizza l’assistenza sanitaria; quando la sanità pubblica viene depauperata a vantaggio di quella privata; quando, a causa di queste scelte, negli ospedali ci si trova a corto di letti e di postazioni di terapia intensiva e i malati infettivi, per scelta politica, si scaricano nelle case di riposo per anziani, allora le responsabilità sono evidenti, gravi e ineludibili.

Ancora più grave è la responsabilità di quei politici che, come accade negli Stati Uniti, nel nome di un liberismo che antepone i dividendi societari ai diritti dei cittadini, sono ferocemente ostili all’idea di un sistema sanitario uguale per tutti e indifferenti alla sorte di chi non dispone di una costosa polizza sanitaria privata.

Spaventosa, poi, è la responsabilità dei politici che, orgogliosi e fieri di questa oscena situazione di disuguaglianza, programmano in anticipo il triage, condannando con disinvoltura a morte certa i disabili, i deboli e i portatori di ritardi mentali: sta accadendo, purtroppo, in oltre venti Stati USA.

È qui che si vede la differenza enorme, ma troppo spesso ignorata, fra potenza e civiltà.

Gli USA sono indubbiamente la più potente nazione del mondo ma la loro potenza si basa sulla disperazione di fasce di popolazione disprezzate e impotenti e sempre più numerose.

La vecchia Europa, pur se così lacerata e divisa e litigiosa, ha tuttavia ancora qualcosa da insegnare ai suoi arroganti dirimpettai d’oltre oceano: la lezione dell’umanità, della condivisione e della parità dei diritti. In una parola, la lezione della civiltà.

È stata tentata, l’Europa, di imitare quei dirimpettai, aveva perfino cominciato a farlo. La tragedia che si sta consumando è un severo monito a restare nel solco del cammino che ha percorso dal dopoguerra in poi.

Dobbiamo augurarci che anche agli USA, infine, la tragedia del Covid-19 insegni che il diritto alla salute non si misura col metro del reddito e che il diritto alla felicità, sancito nella loro Costituzione, non è che una vuota enunciazione di principio se non è garantito da un sincero spirito di umanità e di fratellanza.

Dobbiamo augurarcelo, per noi e per loro; ma è purtroppo legittimo il sospetto che la lezione non sarà sufficiente e che quel “diritto alla felicità” continuerà ad essere interpretato, negli USA, come un diritto all’egoismo.

Speriamo però che, almeno qui da noi, la lezione sia non solo dura e spietata ma anche utile ed istruttiva. Speriamo che l’espressione “parità di diritti” continui a risuonare come un principio inalienabile in questo continente.

E che gli errori altrui smettano di sembrarci modelli da imitare.

Giuseppe Riccardo Festa

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