TIGRE: L’amore per un gatto, nel ricordo di un ragazzo.

Dopo tante insistenze i miei genitori quattro anni fa decisero di accontentare me e le mie sorelle adottando una gattina che potessimo tenere in casa e coccolare in ogni momento. La padrona della gattina che doveva nascere, una nostra amica, aveva una gatta in attesa di tanti cuccioli, e ci chiamò prima di quanto pensassimo per dirci che dovevano venire a prenderci il micio subito perchè mamma gatta aveva abbandonato tutta la sua prole, a causa di un grosso gatto nero del quale si era innamorata. In casa ci furono molte discussioni su quale nome darle, perché mia sorella Valentina non voleva che le dessimo un nome che non gradiva, come quello dato ad un altro gatto, che avevamo avuto in precedenza, che aveva il mantello arancione e che io avevo voluto chiamare a tutti i costi “Bianca”. Alla fine scegliemmo il nome di Tigre, e ci sembrò veramente appropriato perché mentre il veterinario le faceva le vaccinazioni, riempì di così tanti graffi mio padre, che cercava di tenerla ferma, da meritarsi sicuramente quell’appellativo. La gattina era piccolissima quando la prendemmo con noi, e faceva fatica persino a bere il latte che cercavamo di darle in tutti i modi: mettendoglielo in un piattino, dandoglielo con un biberon o con una siringa piccolina. Alla fine cominciò a crescere sana e robusta e a fare i dispetti soprattutto a me e a mio padre che facevamo finta di non prenderla tanto in considerazione. Tigre ci fece ancora un’altra sorpresa allorquando si trattò di sterilizzarla. I miei genitori, nonostante le nostre proteste vibrate, avevano posto come condizione irrinunciabile per avere un gattino in casa che il piccolo felino venisse sterilizzato così da farlo crescere più sano, e da evitare che si legasse a gatti randagi che avrebbero potuto contagiarla con qualche brutta malattia. Al momento di lasciarla sul tavolo operatorio del veterinario, il dottor Pietro, questi ci chiamo dicendoci di tornare prima di quanto previsto perché l’operazione di sterilizzazione sarebbe durata assai poco: Tigre era un gatto, non una gatta come tutti noi avevamo pensato fino ad allora. Mano a mano che cresceva tra me e lei si instaurò uno strano rapporto di odio-amore. Non capivo perché cinque minuti prima godesse nel farsi accarezzare e a far le fusa mentre la tenevo in grembo e poi improvvisamente con un salto “felino” corresse via per saltare sulla scrivania della mia camera, dove più di una volta provocava la caduta di libri quaderni e del mio telefonino che aveva sullo schermo l’immagine di una gatta di color arancione. Il cortile di casa mia era diventato ormai off-limits per ogni altra creatura. E le briciole di pane che dopo pranzo e cena mio padre lasciava cadere nei pressi degli alberi presenti per attirare passerotti infreddoliti e bisognosi di sfamarsi rimanevano tristemente a marcire senza che potessero sfamare alcun uccellino. Quanto a tigre egli ovviamente disdegnava non solo il pane, ma persino ogni tipo di bocconcini che non fossero quelli che mia madre le comprava: solo quelli. Gli altri, che compravamo io e mio padre, non erano mai del tipo giusto, non erano ovviamente di suo gradimento, ed lui li disdegnava come cibo inferiore. All’ora dei pasti, tre volte al giorno, tutti i giorni, per decisione di mia madre, che la pensava diversamente da ogni veterinario, cominciava a diventare docile e carezzevole, si strofinava contro le gambe di mia madre e faceva chiaramente intendere che aveva fame di cibo prelibato. Poi una volta sazio andava a scorazzare nel cortile di casa dei vicini, indifferente a tutto e sordo ai nostri inviti di volerlo accanto e di giocare con lui. Ultimamente aveva conosciuto un gatto della sua stessa taglia e del suo stesso colore, un gatto talmente simile a Tigre che qualche volta riusciva persino a confondere noi. Quando era particolarmente sazio lo portava con sé e gli faceva mangiare il resto di quello che lui, ormai grasso e sfrontato, non aveva più voglia di mangiare. Il gatto era gemello anche nel senso che si muoveva come Tigre (che era stato un buon maestro) e più di una volta mangiava nella stessa scodella senza che noi lo capissimo o ce ne accorgessimo. Tigre ci ha lasciato qualche settimana fa: negli ultmi giorni la sua inappetenza era diventata preocupante. All’inzio pensavamo che fosse a causa del pelo che come un anno prima aveva inghiottio impedendogli di mangiare. Ma stalvolta, purtroppo, il problema era assai più grave e difficile da risolvere: e i tentativi del veterinario di tenerlo in vita e di combattere la brutta malattia che gli aveva ghermito cuore e fegato non sono valsi a nulla. Ma rimarranno per sempre nei nostri cuori i suoi occhioni furbi e languidi, la sua capacità di farsi amare, e anche i dispetti che non mancava di farci appena poteva. Angelo Mingrone

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