Sull’enel il confronto si faccia coi contenuti, non coi pellegrinaggi.

Ed eccoci qui, puntualissimi, ogni cinque anni a commentare proposte più o meno concrete, rigorosamente strampalate, sul “futuro” della centrale enel. Questa volta la miccia si è accesa grazie ad un’iniziativa della maggioranza comunale la quale, non avendo la più pallida idea di cosa fare, ha ben pensato di iniziare una serie di pellegrinaggi lungo i santuari pseudo-industriali d’Italia. Il punto di partenza è stato quello che Antoniotti e compagni hanno chiamato, con audace sfoggio di tecnica, centrale a letto fluido di Manfredonia, proprietà Marcegaglia. Signore e signori, nel 2015, un inceneritore. Se qualcuno volesse speculare politicamente sulla questione, non dovrebbe far altro che lasciar fare l’amministrazione mentre colleziona l’ennesimo suicidio politico dopo il tribunale, gli ospedali, i treni, i depuratori, i rifiuti eccetera eccetera. Purtroppo, però, i disastri di questa classe non-dirigente si riversano sistematicamente sulle schiene dei cittadini calabresi per cui, prima che ciò avvenga, è bene diradare un po della confusione prodotta da questi brillanti amministratori. Intanto qualche precisazione di contorno: se è vero che Bucita è diventata una cloaca grazie ad un indifendibile centrosinistra, è altrettanto vero che quando tutto ciò accadde il forzista Giuseppe Graziano, oggi consigliere regionale, era sub-commissario, direttore generale e presidente del nucleo via, eppure Caputo ed Antoniotti lanciano petali di rosa sul suo cammino ogni qualvolta se ne presenta l’occasione: problemi di memoria? Così come è vero che oggi questa amministrazione è stata messa nelle condizioni di intervenire in quella discarica grazie alla scoperta di 60 mila metri cubi di rifiuti abusivi e di natura sconosciuta, quindi ad un probabile traffico illecito di rifiuti, eppure resta immobile, con le mani in mano. Non solo. Se è vero che l’amministrazione Filareto si limitò al “no” al carbone, è altrettanto vero che Antoniotti non mi sembra sia stato eletto l’altro ieri, e fare dei pellegrinaggi un anno prima delle elezioni amministrative per accalappiare maldestramente qualche voto è quasi peggio di non fare nulla. Passando al nocciolo della questione, l’idea accarezzata da questi pionieri dell’impreparazione non solo non conviene dal punto di vista ambientale e sanitario, ma è persino sconveniente dal punto di vista economico e, di fatto, irrealizzabile. Forse qualcuno pensa a questi impianti come dei grossi caminetti dove gettare direttamente la busta di rifiuti lasciata nel cassonetto, e lì la monnezza dovrebbe sparire d’incanto: non è così. Per far funzionare queste fabbriche di tumori c’è bisogno di impianti di trattamento efficaci che trasformino i rifiuti in combustibile, isolando tutto ciò che è riutilizzabile o con basso potere calorifero. Noi abbiamo di questi impianti? No. L’Istituto Superiore di Protezione Ambientale, infatti, documenta che i nostri impianti non sono in grado di produrre combustibile a norma, che quindi il “prodotto” (monnezza tritata) va quasi tutto in discarica e di conseguenza l’unico inceneritore della Calabria, quello di Gioia Tauro, per funzionare deve importare monnezza da altre regioni, non so se vi rendete conto dell’assurdità. Chiusa la questione tecnica, passiamo a quella economica: è ormai riconosciuto che questi impianti, chiamati “valorizzatori” solo in Italia, hanno un bilancio energetico negativo, cioè consumano più energia di quella che producono. Il trucco è che l’energia consumata la pagano i cittadini tramite tasse e altri escamotage (date un’occhiata alla vostra bolletta cercando la voce CIP6) mentre quella venduta, cioè i profitti, li becca l’azienda proprietaria dell’impianto che, quindi, diventa competitivo…coi soldi nostri. Questa sarebbe la valorizzazione. Inoltre, i rifiuti gettati in questi impianti si volatilizzano? Certo che no, si trasformano, oltre che in energia sconveniente, in fumi e ceneri. Le ceneri, classificate rifiuti speciali, devono finire in meravigliose nefaste discariche, come se ne avessimo poche, mentre i fumi e le polveri sottili vanno ad aumentare la fila nei reparti di oncologia del territorio, i quali già sono tutt’altro che deserti. Ed il conto dell’impatto sanitario chi lo paga? Noi, come sempre, con la vita ed il portafogli. Per cui se dibattito si vuol instaurare, ben venga, ma sui contenuti, non coi pic-nic. È bene che si sappia che la società civile del territorio sta preparando da qualche tempo una proposta reale, concreta, tecnicamente avanzata ed economicamente conveniente per il futuro del sito di Sant’Irene, che non solo salvaguarderà e creerà posti di lavoro, ma sosterrà realmente lo sviluppo e sarà totalmente sostenibile, rispettando le vocazioni del territorio. Una prospettiva in cui coinvolgere ogni forza sociale della sibaritide, dalle associazioni ambientaliste alle forze sindacali passando per gli operatori turistici, per pretendere unitariamente, da parte di Governo e Azienda, una volta per tutte, il rispetto della volontà delle nostre comunità. Ecco perché soltanto accennare delle proposte indecenti come quella di un impianto di incenerimento rappresenta, oltre che una patetica baggianata, un atto totalmente irresponsabile e tutt’altro che costruttivo, che rispecchia la mediocrità di questa classe dirigente e non fa altro che dividere ed indebolire il nostro territorio. Flavio Stasi

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