SIRIA: MEGLIO LA PADELLA CHE LA BRACE

D’’accordo, Hassad è un tiranno o se preferite è un tirannello, e Putin è un cinico restauratore dell’’impero russo. Ma è pur vero che se Hassad è la padella, la sua caduta rischia di far cadere anche noi: nella brace.

C’è qualcosa di incomprensibile, sul teatro della guerra in Siria, o almeno di incomprensibile agli occhi di un osservatore abbastanza ingenuo da continuare a credere che noi occidentali –- e in particolare gli Stati Uniti – siamo i difensori della libertà, della pace e della democrazia e che se interveniamo con le armi lo facciamo solo ed esclusivamente nel nome di questi alti principî.

Purtroppo, in realtà, i principî sono soltanto la foglia di fico che nasconde la vergogna di interessi ben più terreni, per lo più economici e militari. Per decenni, così, in America centrale e meridionale, per difendere “la libertà si sono legittimati regimi corrotti, spietati e illiberali (vedi il Nicaragua di Noriega, l’’Argentina di Peron e poi dei generali, il Cile di Pinochet); e in Oriente e Medio Oriente, sempre nel nome della libertà, si sono fatti cadere regimi certamente tirannici e sanguinari -– Talebani in Afghanistan, Saddam Houssein in Irak, Gheddafi in Libia -– ma invece del promesso paradiso in terra i popoli di quei Paesi hanno vissuto, dopo, inferni ancora peggiori. L’’esperienza, insomma, insegna che foraggiare gruppi armati per far cadere un regime rischia di trasformarsi in un boomerang perché dopo, se non subentra il caos, il regime che viene instaurato al posto di quello abbattuto si mostra anche peggiore.

Qualche dubbio, a questo punto, circa l’’effettiva opportunità di far cadere allo stesso modo il regime di Hassad è legittimo; a maggior ragione se si pensa che alla testa degli oppositori di quel regime, sul posto, ci sono i nemici più decisi e spietati del nostro mondo, i tagliagole dell’’ISIS. E, correggetemi se sbaglio, fra gli altri oppositori ci sono gli altrettanto cordiali guerriglieri di Al Qaeda, che gli USA bombardano in Afghanistan -– colpendo ogni tanto, per sbaglio, anche una scuola, una festa nuziale o un ospedale –- ma contemporaneamente, secondo alcuni, sostengono in Siria, in base al principio “il nemico del mio nemico è mio amico”.

D’accordo: se la politica è una cosa complessa, in Medio Oriente lo è in misura esponenziale; ma sarebbe forse ora che al Dipartimento di Stato e al Pentagono, e alla Casa Bianca, qualcuno cominciasse a darsi una regolata e rivedesse le sue priorità.

L’ISIS è molto, ma molto più pericoloso di Hassad che, tiranno quanto volete, comunque non ha nessuna intenzione di islamizzare il mondo intero: si accontenta di fare il tiranno a casa sua. Il mio ragionamento può sembrare cinico, e in effetti lo è. Però, se Hassad è un assassino ed è pericoloso, l’’ISIS e Al Qaeda lo sono molto di più.

Non so voi, ma l’’idea che un tagliagole mascherato venga a impormi come vivere, come pensare, come scrivere e, perché no, anche come morire, a me non piace per niente. Dunque per quanto antipatico, arrogante, imperialista e supponente Putin possa essere, per una volta non me la sento di dargli torto: ci sono assassini ben più pericolosi di Hassad, in Siria, e sarà meglio, prima che di lui, occuparsi di loro; fra l’’altro, agendo come sta agendo e approfittando dei comportamenti contraddittori e inconcludenti degli USA e dei loro alleati, il monarca russo sta piantando solide basi in quell’’area del Medio Oriente, dimostrando di possedere quella visione strategica che Washington, miope come sempre, assolutamente non ha.

Giuseppe Riccardo Festa

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